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Gli ultimi maestri del peperino

Sambuci, dinastia dell'arte di lavorare la pietra simbolo di Viterbo

Vincenzo Sambuci (a sinistra) con il figlio Angelo

Vincenzo Sambuci (a sinistra) con il figlio Angelo

Quattro generazioni scolpite nel peperino. Da oltre un secolo la famiglia Sambuci modella blocchi di quella pietra che è il segno caratteristico della città dei papi. Quando si dice marmo, si pensa immediatamente a Carrara, ma se si pronuncia peperino si arriva direttamente a Viterbo.

“Cominciò il mio bisnonno Vincenzo, poi toccò al mio nonno Raniero che trasmise il mestiere a mio padre, anch’egli Vincenzo e oggi settantacinquenne, E adesso tocca a me che di anni ne ho 45”. A parlare è Angelo Sambuci che, insieme al papà, porta avanti l’antichissima e nobilissima arte di lavorare il peperino (capannone a Bagnaia, sulla strada Ortana). “Ma io non ho figli maschi – aggiunge –  e mi pare complicato che questa tradizione possa continuare con le mie due femminucce… Certo, se avessi avuto un maschietto e se avesse voluto, il suo posto sarebbe stato qui dentro”.

La crisi non risparmia, purtroppo, anche il “settore del bello”… “Noi – spiega Angelo Sambuci – abbiamo cominciato ad avvertirla 3 anni fa,

Sambuci al lavoro

Sambuci al lavoro

quando in altri settori già si era fatta pesantemente sentire. Adesso siamo nel bel mezzo… Mi rendo conto che, quando si tratta di tagliare, i primi risparmi si fanno proprio nelle spese non strettamente necessarie. Anche se va registrato un certo ritorno al gusto del bello… Insomma sopravviviamo”. E come si sopravvive? “Oltre alle nostre opere artistiche (statue, camini, ornamenti di vario genere, arredi per giardini) lavoriamo nel settore edile. Produciamo di tutto: dalle composizioni più complicate ai pavimenti, dai camini più sofisticati alle semplice soglia per una porta. Diciamo la verità: in certe abitazioni di pregio, il peperino non può proprio mancare”.

Un'altra opera d'arte realizzata dalla famiglia Sambuci

Un’altra opera d’arte realizzata dalla famiglia Sambuci

Numerosi le opere d’arte create dalle mani sapienti di Vincenzo Sambuci (“Per scolpire un leone – scherza suo figlio – non ha più nemmeno bisogno di una disegno: lo fa ormai a memoria…”): il monumento ai caduti alla Pila, il restauro di Porta Romana, gli interventi a Villa Lante e la ristrutturazione della Basilica della Quercia. Con puntate anche oltre oceano, a Los Angeles per la precisione dove, per diversi anni, fu fervida una collaborazione con una galleria d’arte: “Ma ormai – interviene Angelo – il discorso si è chiuso. Bisognava andare sul posto e non era cosa semplice lasciare il nostro laboratorio praticamente sguarnito. E chi lo portava avanti il lavoro italiano?”. E questo è un altro tema da non sottovalutare: “Questa arte purtroppo va scomparendo. Qualche giovane con grande difficoltà ci sta provando, ma vedo complicata la trasmissione del mestiere a chi vuole provarci. Mio padre, tanti anni fa, tenne un corso a Pratogiardino, ma fu un’iniziativa sporadica che non si è più ripetuta. Lui è davvero un maestro artigiano. Io cerco solo di seguirne le orme. Il nostro è un mestiere che va a morire, purtroppo”. Con l’aggravante di una burocrazia che più soffocante non si può: “Scartoffie, adempimenti, regole che cambiano continuamente. Ciò che non era rifiuto speciale, lo diventa improvvisamente. Pensate che spendiamo un euro a quintale per trasportare i nostri rifiuti speciali. Che poi, dopo essere stati trattati, vengono rivenduti a 1,5 euro al quintale. Ma vi pare possibile? Per fortuna, il capannone è nostro, altrimenti le spese sarebbero state insopportabili”.

La certezza è che la dinasty dei Sambuci è  viva e vegeta e lotta ogni giorno per mantenere viva una preziosa e imperdibile tradizione. Lunga vita al peperino.

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