C’è chi si compra un pezzetto di terra da coltivare. Chi spupazza i nipoti al giardinetto. Chi spegne il cervello e accende la tivù. E poi c’è lei, Sorella Alba Bonucci, che per godersi la fresca pensione ha deciso di attuare un approccio alquanto alternativo. La volontaria della Croce rossa, naturalmente viterbese, si trova ad oggi in Sierra Leone. Impegnata come infermiera a Kono, versante nord-est.
“Siamo orgogliose che una nostra rappresentante, oltretutto l’unica italiana, sia partita per una missione tanto delicata – dice Teresa Leonardis, ispettrice delle Sorelle locali – in un contesto poi molto rischioso. Una decisione forte la sua. Ma saperla motivata e felice ci fa stare bene”.
La Bonucci ha sposato un’idea partita dal centro operativo di Ginevra. E dai primi di febbraio sta sul campo per tentare, insieme a colleghi e professori vari, di debellare una piaga in preoccupante espansione. Quel maledetto virus, l’Ebola, da poco tornato in auge alle tristi cronache mondiali. “Lavoriamo intensamente e l’allerta è alta – spiega lei stessa – Purtroppo in loco ci sono tante persone affette da malaria e da molti altri tipi di malattie endemiche. Quindi spesso arrivano da noi, all’Ebola treatment center, con la paura di avere preso l’Etc. Per fortuna però non si sono registrati nuovi casi. Ci stanno solo due bambine affette, in via di guarigione”.
Rimarrà in Sierra Leone un mese. Poi forse, al ritorno (e prima di riabbracciare il nipotino che a giorni compierà il suo primo anno di età) dovrà affrontare un periodo di quarantena. “Non solo per un discorso strettamente medico – ritorna a parlare la Leonardis – ma anche sul fronte psicologico. Certe ‘uscite’ ti stravolgono la vita. L’inutilità dei problemi quotidiani, quando si è di nuovo a casa, è dura sia da comprendere che da affrontare”.
Al momento però le cose vanno bene. La Bonucci si destreggia col resto del personale grazie al suo perfetto inglese. Comunica coi parenti e con le Sorelle via pc. E addirittura si cimenta, per stemperare l’atmosfera, nella preparazione di cene tipiche, menù all’italiana. “Tra i delegati – prosegue – c’è un clima rilassato. Qualche giorno fa è arrivata una collega dal Kenya e poi un gruppo di inglesi. Adesso che mi trovo qua da più di quindici giorni posso fare anche da guida ai nuovi. In loro rivedo l’emozione che ho provato io”.