Luca se ne è andato nella notte tra domenica e lunedì. Non è questa la sede per chiedersi come e perché. E’ invece il momento della riflessione e dei ricordi. Tanti e, almeno per chi scrive, legati all’indimenticabile avventura della rappresentativa provinciale Giovanissimi che due anni fa vinse il titolo regionale. Luca Graziosi fu uno dei protagonisti di quei successi. Portava il numero 18 sulla maglia ed era un attaccante.
Al Settebagni Sport Village, il giorno della finale con i ragazzi di Latina, sulle tribune c’erano mamma Tamara e papà Gilberto, anch’egli appassionatissimo di calcio. Gilberto aveva partecipato non solo alle partite ufficiali ma era stato sempre presente a tutti gli allenamenti che si erano svolti sui vari campi della Tuscia. Il calcio ce l’aveva nel sangue, Luca. Tifava per la Juventus e il suo idolo era Del Piero.
Quando arrivò alla prima selezione, era timidissimo. Una caratteristica che lo accompagnò in tutti i mesi seguenti. L’allenatore, Vincenzo Rosella, lo scelse perché aveva un fisico possente, decisamente superiore alla media dei quattordicenni. In avanti, la coppia di titolari era formata da Francesco Raffaelli e Bartolomeo Acampora: lui era il primo cambio. Quando stava per avvenire la sostituzione, l’unica raccomandazione era “Cattivo, Luca. Cattivo”. In senso sportivo e agonistico perché lui in realtà era lontanissimo dalla cattiveria. Al fischio finale, correva verso la panchina e qualunque fosse il risultato chiedeva: “Come ho giocato? Ditemi la verità”. Ermanno Chitarrini, il fisioterapista, lo guardava sorridendo di nascosto e gli rispondeva burbero: “Non segni mai…”. In realtà, voleva dirgli che in campo aveva dato tutto. I ragazzi lo adoravano, Ermanno, il “nonno” un po’ brontolone che però ha sempre pronta la parola giusta. Al ritorno dalla trasferta di Roma, sul pullman tra i Giovanissimi non volava una mosca: si era perso e l’accesso alla finalissima era in bilico. Chitarrini dette la scossa con qualche battuta delle sue. Luca fu uno dei primi a ritrovare il sorriso: già, insieme alla timidezza, era proprio l’allegria un’altra delle sue caratteristiche.
Nel 2013 giocava nel Castel S. Elia, ma l’anno seguente (come altri ragazzi della rappresentativa) seguì Vincenzo Rosella nel Civita Castellana Calcio Giovanile che disputava il campionato regionale. Dopo quella parentesi, è tornato al Castello, la squadra del suo paese.
A Roma, per la finale, i tempi regolamentari erano finiti in parità: 1-1. Bisognava tirare i rigori per decidere la vincente. In allenamento, erano state stabilite alcune gerarchie, ma i rigoristi sicuri erano 2, forse 3. Ne servivano 5 e, in quei momenti di tensione, non conta ciò che dice l’allenatore: conta chi se la sente di andare sul dischetto. Luca si era quasi nascosto in panchina. Rosella lo guardò senza dire una parola. “No, mister. Io no…”, si affrettò a dire. E così non finì nella lista dei 5. E non toccò a lui nemmeno quando si trattò di tirare il sesto penalty. Latina sbagliò, Bogdan Popa la mise dentro e Viterbo vinse il titolo. Se si fosse andato avanti ad oltranza, sarebbe toccato anche a Luca Graziosi. E l’avrebbe segnato quel rigore, perché in allenamento non sbagliava mai, facendo arrabbiare di brutto Simone Menegaldo, sistematicamente spiazzato.
Addio, Luca. Addio campione, timido e allegro. E ricordati: c’è sempre un rigore da tirare… Anche lassù.