La parola giusta per definire l’attuale situazione è una sola: caos. Legislativo, economico, gestionale. Una confusione totale nella quale l’unica certezza è che la legge 56 del 2014 è già in vigore, ma assolutamente inapplicata. Già, le Province sono destinate a sparire, o meglio a trasformarsi in enti di secondo livello con un numero limitato di mansioni e senza costi aggiuntivi. Sulla carta tutto semplice e facile: in pratica impossibile da realizzare. Marcello Meroi, presidente della Provincia di Viterbo, è categorico: “Ribadisco che noi siamo in grado di pagare gli stipendi fino a marzo. Dopo non so che cosa potrà succedere”. La questione è stata già affrontata e sviscerata circa un mese fa proprio a Palazzo Gentili, ma da allora le cose non sono affatto cambiate. Anzi, se è possibile, peggiorate.
Il fatto è che sempre quella famosa legge stabilisce che alle province resteranno 4 funzioni (ambiente, edilizia scolastica, viabilità e mobilità), il resto passerà alle Regioni che avrebbero dovuto entro ottobre scorso deliberare i criteri per l’acquisizione delle altre competenze e del relativo personale. Chi lo ha fatto? Nessuno. Di qualunque colorazione politica. E perché? Senza soldi e soprattutto senza certezze, nessuno vuole caricarsi di un problema enorme, visto che riguarda in tutta Italia 19.800 lavoratori. Tanti sono infatti i dipendenti destinati alla mobilità, cioè al passaggio dalla provincia alla regione. Sapete qual è la somma disponibile per questa operazione? Sessanta milioni di euro, cioè 3 milioni in media a regione. Tanto per farsi un’idea, soltanto i dipendenti di Palazzo Gentili costano ogni anno più di 9 milioni. Insomma la cifra stanziata è poco più di una goccia nell’oceano. Inoltre, entro il 30 marzo, le province sono tenute a presentare gli elenchi con i nomi di chi rimane e di chi invece va da un’altra parte. Impresa impossibile senza un quadro di riferimento certo e soggetta non ai voleri delle singole regioni, ma alla legge nazionale che regola i rapporti di lavoro nella pubblica amministrazione. Inutile aggiungere che anche i servizi erogati sono a forte rischio vista l’assoluta mancanza di risorse.Un autentico ginepraio dal quale uscire sarà impresa titanica.
E così, di fronte ad un vuoto legislativo evidente, dire che le cose vanno a rilento è solo un cortese eufemismo. Sette regioni (su 20) hanno approntato un disegno di legge: un atto di indirizzo, insomma, che abbisogna di tempi lunghi prima di essere approvato. Nel Lazio se ne comincerà a parlare lunedì prossimo. Intanto il tempo passa e le “cambiali” vanno in scadenza. Mercoledì 28 gennaio è fissata l’assemblea generale dell’Upi (Unione delle province italiane) dove i nodi non solo verranno al pettine, ma dove si profila una decisione clamorosa: dimissioni in massa di tutti i presidenti (sia i nuovi eletti che quelli ancora in carica con il vecchio sistema). Una protesta trasversale e generalizzata che unisce tutti indistintamente.