Rita Orlandi nel 1944 ha 16 anni. La giovane abita con la sua famiglia in via della Verità al civico 19. Nello stesso stabile , anche alcuni cittadini viterbesi. Non hanno compiuto nulla di illegale o di grave: sono semplicemente ebrei. La milizia fascista (o quel che ne rimaneva) e i nazisti tedeschi negli ultimi rigurgiti di intolleranza razziale decidono di andare ad arrestarli. Ne prendono tre: Emanuele Vittorio Anticoli, Letizia Anticoli e Angelo Di Porto. Sono subito deportati nei lager dove moriranno tra il ’44 e il ’45. Lei, Rita, prende un ragazzino per mano e lo porta via, passando impettita tra i soldati armati e rifugiandosi nelle campagne circostanti. Torneranno a casa quando ormai è buio e gli aguzzini sono andati via.
Ieri, in via della Verità 19 c’era Angelo Di Porto, figlio di Silvano e nipote (oltre che omonimo) di uno dei deportati. Con lui altri parenti delle vittime viterbesi di quella immane tragedia che fu l’Olocausto. L’occasione è la posa di tre “pietre di inciampo” proprio davanti all’ingresso della casa dove avvenne l’arresto. Quei sampietrini, con una mascherina in ottone dorato con i nomi dei deportati, sono un progetto dell’artista tedesco Gunter Demnig (anch’egli presente) che all’inizio degli anni Novanta si è posto l’obiettivo di installare una pietra di inciampo in memoria di ogni persona perseguitata e deportata nei lager nazisti durante la seconda guerra mondiale (ne vorrebbe sistemare 10 milioni).
Sono stati due dipartimenti dell’Università della Tuscia a presentare la richiesta di posa delle pietre di inciampo all’Associazione ArteinMemoria (presieduta da Adachiara Zevi): Distu (Studi linguistico-letterari, storici, filosofici e giuridici) e Disbec (Scienze dei beni culturali). Il progetto di Demnig è nato a Colonia ma si è ben presto diffuso in tutta Europa; in Italia è arrivato a Roma nel 2010 ed è stato adottato già in diverse città.
Alla cerimonia, semplice e toccante, presenti il sindaco Leonardo Michelini, il rettore dell’ateneo viterbese Alessandro Ruggeri, il vice sindaco Luisa Ciambella, alcune scolaresche, diversi esponenti della comunità ebrea (tra cui il professor Stefano Grego, ex pro rettore dell’università), tanti cittadini. In un breve intervento, Adachiara Zevi sottolinea la valenza del progetto: “L’espressione ‘inciampo’ deve intendersi non in senso fisico, ma visivo e mentale, catturando l’attenzione di chi passa e facendolo ‘inciampare nella memoria’. Le pietre sono il simbolo di come la memoria personale e familiare possa diventare memoria collettiva”. “Il gesto di mia madre Rita, scomparsa nel 2008 – racconta il figlio Mauro Corbucci – fu nello stesso tempo semplice e pericolosissimo. Prese quel bambino e lo portò via. Ho dedicato e continuerò a dedicare ogni attimo della mia vita a ricordare quell’atto. Quegli orrori vanno raccontati ogni giorno soprattutto ai giovani: solo così non si dimentica”. C’è l’impegno solenne di ArteinMemoria a dare a Rita Orlandi il titolo di “giusto dei giusti” e di inserire il suo nome nel museo Yad Vashem di Gerusalemme, dedicato appunto a coloro che si impegnarono a salvare gli ebrei dalla deportazione e dalla morte.
Lì, sulla facciata di via della Verità 19, c’è in verità una lapide a ricordare Emanuele Vittorio Anticoli, Letizia Anticoli e Angelo Di Porto, i tre martiri viterbesi: fu apposta il 27 gennaio 2001. Pochi onestamente se ne erano mai accorti.