Domanda: se a Capodanno chiudono gli scavi di Pompei, perché dovrebbe restare aperto il museo dell’Abate di San Martino al Cimino, in un semplice venerdì feriale? Non sarebbe certo uno scandalo, né sarebbe necessario farci una polemica. E infatti Viterbopost si limita a raccontare quello che ha visto, col minimo possibile dei filtri.
Pomeriggio di venerdì, quando il Capodanno è passato (e smaltito) e la Befana ancora lungi dal venire. C’è il sole, sono le quattro, non fa più freddo come gli ultimi giorni, neanche quassù nel Principato. Vale la pena salire, allora, per andare a vedere l’appendice più lontana di Sacro e Profano, la bella mostra inaugurata il 23 dicembre scorso e che, con la sua intenzione di diffondere l’arte (la pittura sacra e quella profana, appunto dal Quattrocento al Settecento) per la città ha già fatto man bassa di apprezzamenti, anche a livello nazionale.
E se Palazzo dei priori, le chiese di San Silvestro e del Gonfalone, i musei Colle del duomo e civico, sono i pezzi forti, l’ultima tappa è qui, nella frazione collinare del capoluogo. Intenzione nobilissima: allargare il campo d’azione della cultura anche all’estrema periferia, a quei borghi troppo spesso snobbati non solo dai visitatori, ma soprattutto dagli amministratori. Infatti.
A San Martino, allora. Dove non ci sono problemi di parcheggio e dove, tra l’abbazia cistercense e il palazzo Doria Pamphili c’è il museo dell’Abate, e dunque un pezzo di Sacro e Profano. Trovarli però non è facilissimo, visto che mancano indicazioni: nessun cartello, piccolo o grande, finché al fianco di un grosso portone di legno, accanto all’antico arco murario, ecco un’insegna un po’ vecchiotta: “Museo dell’Abate”, e sotto: “Arte sacra”. L’ingresso però è chiuso, da un lucchetto che s’intona perfettamente al contesto, visto che sembra medievale. Dietro la porta, dai vetri impolverati, s’intravede il totem promozionale di Sacro e profano, buttato lì. Più all’interno, dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – essere conservato lo “Stendardo” di Mattia Preti con il Cristo eucaristico e San Martino che dona il mantello al povero.
Ora, per chi si trovasse a passare da San Martino e volesse visitare la mostra (e il museo), la cosa si complica. Su internet, in effetti, si avverte che il museo è aperto “solo il sabato e la domenica” e che per gli altri giorni funziona soltanto “su richiesta e su prenotazione”. Bene, cioè male: un conto è durante l’anno, in condizioni normali, ma almeno in questi giorni di festa e soprattutto di mostra, non si sarebbe potuto lasciare aperto? Fare, insomma, un’eccezione? Il Comune (giacché i curatori non c’entrano nulla con questo aspetto) non avrebbe potuto distaccare un volontario (un usciere o qualcosa del genere) per consentire una fruizione completa del percorso museale? Della serie: parto da Palazzo dei priori, vado a San Silvestro, al Duomo, al museo civico, un bel pranzetto e il pomeriggio caffé e ammazzacaffé al museo dell’Abate per chiudere in bellezza il tour? (Ma anche viceversa: arrivo da Roma, mi fermo a San Martino, vedo, ammiro, scatto e poi giù in città per seguire l’itinerario).
Arriva padre Bonaventura: “Il Comune non c’entra. Adesso provo a cercare le chiavi per l’ingresso”. Entra in un portone, torna poco dopo: “Mi dispiace, ma le chiavi non me le hanno riportate. C’era un gruppo di visitatori. Scusate, ma adesso debbo andare a dire messa. Se volete ripassare dopo…”. La porta resta chiusa, il sole scende e comincia a fare freddo, si torna dabbasso, lungo i tornanti della Sanmartinese, rimuginando che forse qualcuno da Palazzo dei priori poteva avvertire prima: la mostra a San Martino solo nel finesettimana, grazie. Figurarsi: con la Panda sono appena tre euro di benzina.