Martedì e giovedì. Di norma i giorni prescelti sono questi. Poi ci sta anche chi tenta invano di fare il serio, aggiungendo il venerdì. Ma qui si tira lo sguardo verso la fantascienza. Quindi meglio rimanere concentrati sui primi due.
Ecco. Se c’è una cosa che il calciatore medio odia (quello di Terza categoria, chiaramente, ma in fin dei conti un po’ tutti) è questa coppia di appuntamenti settimanali. Ore 18, la prassi, ci si vede al campo. Ché in programma ci sono gli allenamenti. Ora, il solo pronunciare la parola, al-le-na-men-to, già comporta fatica. Se ci si aggiunge poi che per arrivare allo stadio si deve uscire di casa, magari rivestirsi, abbandonare il caminetto acceso o il bar accogliente, spogliarsi al freddo e al gelo, il tutto per mettersi a correre (sovente senza manco vedere la palla), il quadro è bello che servito. E l’idea maturata da tempo, di abbandonare finalmente gli scarpini in favore del divano, puntualmente tocca picchi esorbitanti. Fortuna che la domenica poi si gioca. E una bella partita rimette ogni cosa in equilibrio.
Ma come ci si allena in Terza? Ossia, la prima domanda da fare in realtà sarebbe: ci si allena in Terza? Purtroppo sì. E quanto? Abbastanza. Dipende dal mister, in effetti. Ma tra uno e l’altro poco cambia. Chi esige il terzo rendez vous settimanale, è quello che vuoi o non vuoi difficilmente arriva al panettone. Il calcio è spietato, si sa. Non guarda in faccia a nessuno.
Le sedute, dall’alba dei tempi, partono sempre con quattro chiacchiere negli spogliatoi. Mentre quello si infila la panciera e l’altro fa pipì sotto le docce. I bagni ci stanno, sia chiaro. Ma tra galantuomini certe tradizioni vanno rispettate. Poi si esce (se non piove e se l’ammutinamento non è avvenuto). Qualche giro di riscaldamento, stretching, esercizi vari. Dalla fine del Fascio ad oggi mai una novità che sia una. Si procede a cervello spento. Anche se taluni luminari, nel corso degli anni, hanno tentato invano la strada dell’innovazione. Dando ai compiti nomi tipo “cambi di direzioni”, “variazioni di ritmo”, o cose in inglese che nessuno ha mai capito (gira voce siano solo frutto dell’invenzione). Così, per prassi e desolazione, si procede a comandi: correte fino a lì. A quella bandierina fermatevi. Se sentite dolore al petto tranquilli, sono le sigarette. Il tutto in un clima di allegria che manco ad Auschwitz.
Di buono c’è solo che in chiusura di serata si gioca la partitella. Occasione unica per divertirsi un po’, e magari pure per rendere una bella zampata sugli stinchi all’amico che te l’aveva data la volta precedente. A seguire in branco si punta verso la doccia (calda, se ci si è ricordati di pagare il gas). Thè (quella brocca misteriosa, mai lavata). E annunci sparsi di vari doloretti nuovi che passeranno magicamente solo la domenica mattina, al primo fischio dell’arbitro.