Li hanno studiati a lungo, come si fa con gli alieni o volendo pure con le scimmie. Da vicino, che da lontano non ci si capiva poi molto. E alla fine li hanno addirittura codificati. Tradotti. Trascritti su carta. In un unico documento (che vale le famose sette camicie sudate) presentato proprio in questi giorni, e in grande stile.
Per la cerimonia è toccato di occupare il salone Quarto stato. Che già il nome riporta a qualcosa di estraneo, unico, mistico. Anche se poi la traduzione effettiva rappresenta ben altro. Comunque, per sintetizzare, è appena nato il vocabolario del dialetto canepinese. E ora il mondo può guardare al futuro con occhi diversi.
Il manuale (comprensibilissimo, giura chi è informato) nasce dalle menti di Luigi Cimarra e Francesco Petroselli. Sono loro i pionieri che per ben dieci anni (si, tanto c’è voluto) hanno raccolto informazioni. Dialogato (più o meno) con questo o con quel vecchietto. Frequentato bar, osterie, piazze e vicoletti. Al fine solo, unico e nobile, di redigere il pesante manoscritto.
“Un testo vario, complesso ed articolato”, lo ha presentato così lo stesso Cimarra, dinnanzi ad una folta platea. C’erano i politici (non mancano mai): sindaco locale Aldo Maria Moneta, Carlo Palozzi assessore alla Cultura, l’ex primo cittadino Maurizio (sempre) Palozzi. Che sulla Cimina non regna molta fantasia sul fronte cognomi. E anche Enrico Panunzi, ad oggi consigliere regionale. Ma per dodici anni sul trono del Comune. E c’era anche Quirino Galli, che dirige il Museo delle tradizioni popolari. Affiancato dal professor Pino Palazzolo. In cabina di regia Girolamo Pesciaroli. Che da autore delle commedie teatrali del Gruppo spontaneo ha contribuito non poco al prodotto.
“Non è stato difficile negli ultimi tempi – questo il Moneta pensiero – incontrare per le strade di Canepina i due autori. Intenti a chiedere il significato di alcune parole, o ad impararne la pronuncia dalle persone del posto. Spesso sono stati anche da stimolo, visto che con i loro preziosi strumenti filologici hanno saputo interpretare e capire quelle sfumature che noi, semplici parlanti, non potevamo cogliere”.
Il vocabolario nasce grazie alla generosità della Fondazione Carivit. E ricorda, per l’angolo amarcord, quell'”Osservatorio cimino” che il giornalista (di casa) Francesco Corsi pubblicava con cadenza regolare sul vecchio Melting pot. O meglio ancora, quando l’indimenticabile Fabrizio De André, appassionato di dialetti, bollò i canepinesi come quelli “che parlano strano”. Doppia lacrimuccia.