Panettone o pandoro? Con l’approssimarsi del Natale, torna l’atavico dilemma: meglio il cilindro dotato di cupolone o la stella a otto punte? Discussione oziosa per alcuni; tutt’altro che inutile per la maggior parte. Già perché sulle tavole degli italiani, e quindi anche dei viterbesi, deve pur troneggiare uno dei due dolci natalizi. Ma non si potrebbe accontentare tutti apparecchiando l’uno e l’altro? Troppo facile, troppo semplice, troppo scontato. Urge decisione unica e drastica. E la minoranza si adegui, per favore, senza remare contro, senza gufare, senza minacciare scissioni. Che adesso pure il presidente Napolitano ha evocato anatemi per chi non ci sta…
E allora si torna alla domanda iniziale. Il dolce milanese o la prelibatezza di Verona? Intanto pure sul panettone si intreccia una sotto-discussione relativa alla presenza o meno dei canditi. Ci devono stare o se ne può fare a meno, scegliendo solo l’uvetta? O uva passera, come diceva qualcuno con un pizzico di involontario umorismo. Che non si sa bene se si tratta della femmina del passero (solitario e di leopardiana memoria) o qualcos’altro su cui è meglio evitare battute spiritose… E non fate quei sorrisini che vogliono dire tutto e niente.
C’è pure chi la butta in politica (e ti pareva). Il panettone è, meglio sarebbe, di destra perché è indice dell’opulenza dei meneghini: gente che lavora, gente che produce, dunque capitalisti (?), dunque tendenzialmente destrorsi: ma per favore… Il pandoro invece è (meglio sarebbe) di sinistra: nasce a Verona, terra povera, abitata da operai e agricoltori. Quindi tendenzialmente di sinistra. Come se a Verona e in Veneto la Lega non governasse da anni. Scusate, ma se invertiamo l’ordine dei fattori, il prodotto cambierebbe?
E se invece, per tagliare la testa al topo (copyright dell’amante dell’uva passera), mandassimo pandoro e panettone a quel paese e sulle tavole imbandite per i cenoni della vigilia e per i pranzoni della festa, ci mettessimo qualcosa di viterbese doc? Tozzetti e cazzotti, ad esempio, con preghiera di evitare battutacce legate all’ormai famosa uva passera. E se ogni città, paese, contrada d’Italia utilizzasse i suoi dolci tipici natalizi? Ma è la globalizzazione, amico , risponderebbe il sapiente di turno. Già, allora il consiglio è di provare i dorayaki giapponesi, riconoscibili per la marmellata di azuki (e che è?) oppure il platano fritto del Guatemala oppure il klouikloui del Benin (piccoli anelli di burro d’arachide fritti nell’olio: di una leggerezza unica) o ancora la frutta fritta caramellata made in Cina (consigliata ai diabetici). Dite di no? Allora meglio un tozzetto con le nocchie dei Cimini.