Un anno fa, a Baku – località nota fino allora soltanto per qualche pozzo di petrolio e qualche partita di Coppa Uefa dell’Inter – arrivò dall’Unesco il riconoscimento alla Macchina di Santa Rosa, patrimonio immateriale dell’umanità insieme ad altre grandi macchine (da non confondersi coi Suv) sparse per l’Italia. Lo ha ricordato pubblicamente in consiglio comunale, giovedì, la consigliera Maria Rita De Alexandris (voto 6.5).
Bueno. Ma al di là della sobria celebrazione, verrebbe da guardarsi indietro e analizzare quello che è successo da allora ad oggi, e questo no es bueno. Perché in dodici mesi, intorno alla Macchina, ne abbiamo viste di tutti i colori. E andiamo con ordine.
Già nel dicembre scorso s’era intuito che la questione era di quelle potenzialmente acide, e dunque da maneggiare con attenzione. Un avvertimento rimasto inascoltato. Ricordate? Per festeggiare questo traguardo, qualcuno aveva pensato di parcheggiare nelle piazze della città almeno tre o quattro Macchine. Tutto molto bello, tutto molto scenografico, peccato che fosse impossibile, per ragioni di sicurezza sulle quali è meglio non inzufolare. Comunque, l’ideona del dinamico duo esperto in effetti speciali, Filippo Rossi (voto 5) e Giacomo Barelli (voto 6 di solidarietà) andò a monte, e si dovette ripiegare su cerimonie molto meno spettacolari. Vale a dire: niente.
Ma la festa, insignita di cotanto riconoscimento, avrebbe continuato a far discutere. Prima con una polemicuccia sollevata da quelli di Nola, gli alleati che insieme a Viterbo, Palmi e Sassari, avevano fatto rete per centrare il risultato: “La Macchina di Santa Rosa è brutta”, confessò in aprile il sindaco della città campana, evidentemente in versione Viperetta Ferrero (voto 2, ad entrambi). Dalla città dei papi l’unica replica sdegnata arrivò non da un amministratore – evidentemente poco reattivi – ma dal presidente del Sodalizio dei facchini, quel Massimo Mecarini che per quella risposta qui si becca un voto 7.5. Ma al di là delle schermaglie dialettiche, si capì che quella rete era poco retata e molto irretita.
E siamo al Trasporto, a quel 3 settembre che tutti dovrebbe unire, all’insegna di un sentimento. Ma anche quel giorno qualcosa non funzionò: i facchini decisero di allungare il percorso per via Marconi, proprio per festeggiare l’Unesco, fecero una grande fatica, ma alla fine si lamentarono. “C’era poca gente a causa di certe misure di sicurezza francamente esagerate”, dissero. E anche quella volta ai viterbesi la porchetta del dì di festa (voto 8 a prescindere) finì di traverso.
Tutto qui? Macché. Siamo ad ottobre, due mesi fa, quando il Comune (voto non classificato) pensò bene di imbastire il concorso di idee per la nuova Macchina senza ricordarsi dei facchini. Apriti cielo: mentre la politica girava il coltello nella piaga (Il pd Serra: “La Macchina è dei viterbesi, non solo dei facchini”, voto 4 per la frase) e il sindaco (voto 5) cercava di metterci una pezza, i cavalieri di Rosa, giustamente, si incazzavano. E rompevano ogni relazione con Palazzo dei priori, manco fossero l’ambasciata di Prussia ai tempi delle guerre Napoleoniche. Morale della favola: amministratori non invitati al pranzo del Sodalizio (“Sarà una delle poche volte che i politici non magnano”, disse quello), museo chiuso, e altre piccole ripicche di provincia.
E siamo ad oggi, con la nuova Macchina che non si sa se si farà, la guerra fredda che continua (e gli aerei volano in alto tra New York e Mosca, direbbe Venditti, voto 6) e due grossi dubbi da sciogliere: sarà questo Unesco che porta una sfiga clamorosa, o – più prosaicamente – saremo noi viterbesi a non saperci godere uno dei pochi traguardi raggiunti in migliaia di anni di storia civile? Il dibattito è aperto, chi urla più forte vince un sacchetto di lupini. E voto 8.