La cosa è ormai nota. Quelli del Sole (il giornale, e non il detersivo) passano settimane intere a tirar giù classifiche. E quando di mezzo ci finisce Viterbo, per un motivo piuttosto che per un altro, di norma son dolori. Così, dopo la graduatoria sulla disoccupazione, quella sulla differenziata, e le altre mille già dibattute, ecco anche la scaletta relativa al mercato immobiliare. Lato costruttori, e non tecno-venditori, per chiarire il comparto in questione.
La città dei Papi risulta al terzo posto nel Lazio e al trentasettesimo in Italia per quanto riguarda le abitazioni invendute. E poco importa che si tratti di gioiellini appena tinteggiati o stalle buone solo per il presepe. Il quadro non è di sicuro favoloso.
“Che il mercato sia in crisi non è una novità – spiega Andrea Belli, vice presidente dell’associazione nazionale costruttori edili di Viterbo – di positivo c’è comunque che negli ultimi tempi ci si muove su una sorta di livellamento. La picchiata è finita. Certo, le acque sono poco mosse, ma non è che sia tutto rose e fiori”.
In sostanza all’orizzonte non si vedono solo tuoni e fulmini, ma anche un goccino di arcobaleno. Legato principalmente alla buona volontà dei costruttori e alla consapevolezza degli acquirenti. “Funzionano bene le cosiddette abitazioni con classi energetiche alte – spiega ancora Belli – non per niente a Viterbo si costruisce solo in classe A. È vero che si spende un po’ di più in partenza, ma poi si riesce a recuperare tutto. Le A, e ancora meglio le ‘case clima’, sono praticamente autosufficienti”.
Ok. Ma con la crisi che gira, e con tutti i buchi vuoti che ci stanno, chi si può permettere un gioiellino di questo tipo? “La qualità che garantisce chi oggi si cimenta nell’edilizia senza dubbio non basta – aggiunge – occorrono gli incentivi. Sotto forma di tassazione agevolata da parte del Governo. E di elasticità nel concedere mutui dalle banche. Da Monti in poi di sicuro siamo stati tartassati. Noi, ma ancor di più i cittadini. Sarebbe il caso che ognuno facesse la sua parte”.
Anche perché laddove lo Stato è intervenuto, i risultati si sono visti: “Gli incentivi sulle riqualificazioni dei centri storici hanno portato frutti preziosi – chiude il dirigente dell’Ance – si può dire che hanno quasi retto in piedi l’intera classe edile. Se si vuol ripartire però, e poco importa che si parli di nuovo o di ristrutturato, occorre muoversi su undoppio fronte”.
Il mattone buono è quello tecnologico, insomma. Se però si continua a tassare e a non concedere soldi, la battaglia per risollevare la testa è persa prima ancora di del giro d’apertura di molazza.