Una storia assurda, e dolorosa. Che ci racconta M. G. S., un’altra lettrice, una stimata professoressa di un istituto superiore viterbese, ma soprattutto una madre che in questi giorni si è trovata a viverla in prima persona. Vale la pena leggerla, ascoltarla: non è una storia di malasanità, perché sarebbe troppo facile (e sbagliato) definirla così. Ma una storia di burocrazia ottusa, che arriva a sfiorare la crudeltà.
“Mia madre è anziana, e malata terminale – spiega
M. G. S. – Si trova a letto, intubata, impossibilitata a muoversi. Ultimamente mi sono attivata per farle avere l’invalidità civile, una pratica prevista dalla legge alla quale naturalmente mia madre ha pieno diritto.Allora ho deciso di rivolgermi ad un patronato, si tratta di un patronato di un importante ordine professionale (la lettrice fornisce anche il nome di un ordine di liberi professionisti, che omettiamo non tanto per scrupolo, quando per centrare il problema, che dev’essere generico, ndr). Alla mia referente ho portato tutta la documentazione richiesta e necessaria per la pratica. Al che mi sono sentita rispondere che sarebbe stata necessaria una visita a mia madre per appurare la sua malattia. Non bastavano le cartelle cliniche e i certificati, e passi, anche se stiamo parlando di una signora in stato terminale, mica di uno dei tanti finti invalidi che circolano indisturbati, e pensionati, in questo Paese”.
Se fosse soltanto per la visita, per quanto atroce, non ci sarebbe stato nulla da ridire. E invece. “Immaginavo che qualche medico del patronato sarebbe andata a visitarla nella clinica privata dove mia mamma è ricoverata da tempo. Macché. L’impiegata mi ha spiegato candidamente che mia madre si sarebbe dovuta recare di persona da loro per sottoporsi alla visita. Allora non ci ho visto più: ho ripetuto che mia madre è a letto, immobilizzata e intubata, sta soffrendo, e non è certo in grado di spostarsi liberamente. E’ materialmente impossibile, e anche solo terribile da immaginare”.
Alla rabbia della professoressa sono seguite le domande: “E’ davvero questa la prassi? Ogni presunto invalido, che si tratti di una lieve invalidità o di una gravissima, deve recvarsi di persona alla visita per ottenere l’invalidità civile? Non esistono eccezioni dovute all’entità della malattia, alle condizioni della persona? Non esiste un minimo di rispetto per le sofferenze per la persona? Tutti quesiti che mi sono posta e ai quali spero di avere una risposta. Per me e per mia madre, soprattutto”. Qualcuno risponderà? E’ possibile evitare all’anziana signora quella che si profila come una vera e propria umiliazione?
Allora io lavoro presso un patronato e quando si presenta la domanda per l’invalidità civile nel certificato online che emette il medico, qualora la persona sia impossibilitata a spostarsi per effettuare la visita, che è OBBLIGATORIA, c’è la possibilità di spuntare la seguente dicitura: “Sussistono in atto controindicazioni mediche che rendono rischioso o pericoloso per se o per gli altri lo spostamento del soggetto dal suo domicilio”. Basta barrare questo punto, riferire al patronato dove è domiciliata la persona per la quale si richiede l’invalidità civile (se a casa o in una clinica) e a quel punto si trasmette la domanda. Sarà cura poi della Asl di competenza o dell’Inps di effettuare la visita presso il domicilio designato nella domanda. Non possiamo aspettarci che le invalidità vengano concesse senza nemmeno una visita medica, che non è per nulla invasiva, in quanto oltre che parlare con la persona malata, la commissione prenderà in esame le cartelle cliniche e i vari certificati medici in possesso del richiedente e provvederà ad emettere il verbale. Ovviamente tutti i patronati sanno che c’è questa possibilità per chi non può spostarsi dal proprio domicilio, mi meraviglia il fatto che non abbiano detto alla signora di questa eventualità.