La ripresa, il prima possibile, “perché stiamo entrando nel settimo anno di crisi e non ce la facciamo più”. La semplificazione, cioè il rendere più facile le cose (le pratiche, le idee, gli obiettivi) che oggi sono maledettamente difficili. L’internazionalizzazione, che è cosa ben diversa dalla semplice e ottusa esportazione e che può rappresentare la svolta per un’azienda.
Argomenti come questi, approfonditi e spiegati, nell’incantevole atmosfera del Grand hotel Salus alla Terme, nell’incontro di fine anno della Federlazio provinciale. Dove ha brillato la stella del professor Marco Simoni, quarantenne consigliere economico del presidente del Consiglio Matteo Renzi (e professore alla London school of economics, e alla Luiss, ed ex caposegreteria del viceministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda): una insomma di quelle menti brillanti e cosmpolite che stanno aiutando il Governo a cambiare verso sull’Economia. E dove hanno brillato – ma per la loro assenza – i rappresentanti delle istituzioni locali, che pure invitati hanno preferito disertare: peccato, magari ascoltando l’oretta abbondante di dibattito avrebbero potuto imparare qualcosa sul mondo che li circonda, quello dell’imprenditoria media e piccola che è da sempre il motore della Tuscia. Unica eccezione, noblesse oblige, il prefetto Scolamiero, che non è voluta mancare all’appuntamento.
A fare gli onori di casa ed eccellente moderatore, il direttore di Federlazio Giuseppe Crea, insieme al presidente Gianni Calisti, al vice Rino Orsolini. In platea, oltre agli imprenditori, c’era anche Luciano Mocci, il direttore generale regionale ma che a Viterbo resta sempre di casa, e il past president Renzo Grani.
Dibattito vastissimo, si diceva, su temi nazionali, e tutto sommato globali. Marco Simoni incanta quando racconta le riforme in atto, di come sia “entusiasmante e impegnativo lavorare a palazzo Chigi” e, per inquadrare la situazione attuale dell’economia italiana, sfodera una metafora azzeccata: “E’ come quella rana che, se buttata in un pentolone d’acqua bollente, si scotta e salta subito via. L’Italia invece è la rana che è entrata in quella pentola quando l’acqua era fredda, l’ha sentita scaldarsi pian piano ed ha finito per abituarsi, non riuscendo più a uscire”.
Dunque, i cambiamenti sono necessari proprio per far uscire quella rana, farla tornare a crescere libera, azzerando tante “scelte sbagliate del passato. A partire dall’Irap, e faccio un esempio che conoscete tutti – spiega Simoni – Una tassa magari nata con buoni propositi, accorpando tanti balzelli regionali, ma diventata soffocante specie per la piccola e media impresa”. E naturalmente cambiare le leggi sul lavoro, e qui si parla di Jobs act: “Una riforma che dà quella chiarezza necessaria sia alle imprese, che non sapevano quanto costava assumere dipendenti e quanto costava licenziarli, ma che fornisce chiarezza anche ai lavoratori. Una riforma che rende più trasparenti i rapporti lavorativi, ma anche personali. Il Governo sta facendo delle riforme che toccano le persone da vicino, e in positivo: scuola, magistratura, costituzione, lavoro”.
E c’è naturalmente l’internazionalizzazione, la grande chance servita alle imprese italiane sia dalla globalizzazione, sia dall’eccellenza assoluta dei prodotti di casa nostra in molti campi. Simoni, che ha lavorato con un grande sostenitore del commercio internazionale come il sottosegretario Calenda, cita un dato sorprendente: “Dal 2010 al 2013, gli ultimi dati disponibili, l’export italiano è cresciuto di più di quello francese e tedesco. Perché? Perché le cose italiane piacciono, ovunque. Perciò se riuscissimo a liberare questo Paese da una serie di ostacoli non abbiamo nulla da temere dalla globalizzazione, ma anzi ne diventeremo protagonisti”. Qualche dubbio, in sala, sul ruolo e l’efficienza dell’Ice, l’Istituto per il commercio estero, frutto di cattive esperienze del passato di alcuni imprenditori.
E vai di domande. Chiedono se la politica sia pronta a questa svolta. Simoni: “Anche la Tatcher e Mitterand all’inizio furono eletti per un pelo, rischiarono di non essere rieletti, ma divennero enormemente popolari quando i cittadini si resero conto che le loro riforme stavano funzionando”.
Da Civita Castellana, il presidente del comparto ceramico di Federlazio, Augusto Gigliozzi, chiede quale valore aggiunto potrebbe dare la creazione di un marchio ad hoc per le ceramiche falische: “Enorme – replica Simoni – perché consente di fare pooling. Un bel marchio, un bel sito internet e una pubblicità su scala mondiale darebbe una grande forza internazionale al made in Civita”. E chissà che non sia la volta buona per riuscirci, dopo vent’anni di tentativi.
Mocci invita: “Come diceva Giovanni Paolo II: damose da fa’“. E il professore, di contro: “Sì, ma damose da fa’ tutti, senza sconti per nessuno. Certo, associazioni come Federlazio possono dare una spinta decisiva alla cultura del fare e del cambiare”. Finisce così, perché è tempo di andare a cena e, da domani (che poi sarebbe oggi) ricominciare a lavorare, a lavorare, a lavorare.