No, il maglione rosso non l’ha indossato. Forse perché, nonostante sia stato ai suoi tempi l’enfant prodige della politica viterbese, ormai non ha più l’età. Sicché ha preferito il più tradizionale look da politico vecchio stile (giacca grigio scuro, pantaloni neri, camicia celestina e, per fortuna, niente cravatta) di andreottiana memoria. Ma quello che ieri pomeriggio s’è presentato ai suoi fans per gli auguri di Natale nell’ormai consueta location del Balletti Park Hotel a San Martino al Cimino è il Beppe Fioroni che non t’aspetti. Giacché, abituato per sua cultura generazionale a usare il fioretto, stavolta ha preferito utilizzare la clava, menando fendenti e scudisciate. Sia quando s’è avventurato in un lungo e puntiglioso excursus sulla politica nazionale, sia quando ha dovuto affrontare il dolente argomento della gestione di palazzo dei Priori.
Con un unico messaggio chiaro, limpido e netto: “guerra totale ai gufi”. Che, per quei quattro gatti che ancora non lo sapessero, non sono né i grillini, né i forzitalioti del fu premier Silvio Berlusca, né tanto meno i leghisti del lepeniano Matteo Salvini. Ma quelli del Pd. Quelli che remano contro. Quelli che frappongono ostacoli per rallentare la marcia del governo centrale, o delle amministrazioni locali. Quelli che hanno perso il congresso del partito e che ora cercano costantemente la rivincita facendo di tutto per mettere in difficoltà chi amministra – non senza problemi – la nazione o i territori periferici.
Insomma, un Beppe Fioroni in perfetto stile renziano (e convintamente supporter dell’attuale presidente del Consiglio) quello che ha augurato buone feste a una platea numerosissima accorsa per salutarlo, cosa che ha confermato come ormai il Cicciobello viterbese sia l’unico leader politico che conti all’ombra della Palanzana.
Fioroni è partito dalle primarie, istituto di cui il Pd non può né deve più fare a meno, per dire fondamentalmente due cose: che devono essere vere (“Quindi è giusto che scorrano anche lacrime e sangue”) e che chi vince decide la linea de seguire. Senza che i gufi perseguano un pedissequo desiderio di rivincita nei confronti di chi ha vinto, col risultato di impantanarne la sua azione. “E’ una patologia – ha detto Fioroni – che il Pd deve rimuovere, sia a livello nazionale, che a livello locale”.
Fioroni ha citato Renzi e l’ultimo suo incontro coi gruppi parlamentari di Camera e Senato, durante il quale il premier ha detto chiaro e tondo che frenare l’azione del Governo (come la minoranza del Pd sta tentando di fare) significa danneggiare il Paese. E che se questa manfrina dovesse superare i limiti della decenza, ognuno poi dovrebbe assumersi le proprie responsabilità. “Perché – ha sottolineato Fioroni – non è più tempo di bearsi della stagnazione. Se la melma supera il livello di guardia non bisogna avere paura di affrontare gli elettori con chiarezza, dire loro come stanno le cose e tornare al voto evitando di candidare quelli che frappongono ostacoli o che portano avanti solo i piccoli interessi di bottega dei loro amici, o degli amici degli amici”.
Messaggio chiarissimo, che se il Matteo nazionale ha rivolto alle truppe parlamentari, il Beppe viterbese ha invece dedicato ai consiglieri comunali di maggioranza, spalleggiato in questo dal sindaco Leonardo Michelini, il quale – avendo preso la parola in precedenza – aveva stigmatizzato i danni provocati dai cosiddetti capipopolo o capiclan, concludendo con un “tanto la città la cambiamo lo stesso”. Insomma, tutto nel segno di Matteo Renzi.
A margine dello show fioroniano c’è da segnalare l’ottimismo del parlamentare viterbese (sicuramente giustificato dal clima che lui vive in Parlamento in prima persona) sull’Italicum e sul secondo passaggio della riforma costituzionale, “che saranno approvati prima dell’elezione del prossimo presidente della Repubblica”.
E, da ultimo, non si può non segnalare la presenza del funambolico Goffredo Taborri, nonostante il salto della quaglia verso il Nuovo Centro Destra, sedutosi in prima fila. “Sono qui per amicizia nei confronti di Peppe” ha detto sorridendo. Ma tra i presenti non gli ha creduto nessuno.