Tra gli sport preferiti degli italiani, occupa un posto di rilievo salire sul carro del vincitore. Anzi, sul carroccio. Già perché il leader del momento sembra essere Matteo Salvini, leader di quella Lega nord che dopo aver attraverso il sacro Po si lancia ora alla conquista del resto d’Italia. Roma ladrona, Padania libera, secessione: tutti gli slogan dell’era bossiana sono finiti in soffitta e messi molto opportunamente da parte perché i voti non olent (come la pecunia) ma è bene non stizzirli troppo gli elettori.
E allora la parola d’ordine più ecumenica diventa “no euro” che vale dalle Alpi allo stretto di Messina e anche oltre. E ancora, basta con gli immigrati da ributtare in mare o con i territori marcati con urina di maiale (una delle trovate del geniale Borghezio) per impedire che vi possano sorgere moschee: meglio gridare a destra e a manca che gli italiani (non più lombardi o padani o terùn) devono essere padroni in casa loro. E tutto l’armamentario dell’Umberto? In soffitta con il Trota, Belsito (quello dei diamanti) e l’intero cerchio magico. Sistemata con un solenne repulisti la questione interna, stipulata l’alleanza strategica con Tosi e Zaia (che in Veneto pesano e non poco), messo Maroni alla guida del Pirellone, ecco il Salvini (omonimo presidente del Consiglio con il quale condivide anche la partecipazione ai quiz televisivi, parlantina sciolta e presenza massiccia su tutte le tv del pianeta) partire alla conquista dello Stivale italico.
Ma per la conquista degli Appennini e dintorni è bene non abusare del marchio padano (che qualcuno potrebbe associare a neppure troppo lontane esternazioni anti Roma e anti sud): meglio utilizzare il neonato movimento “Noi con Salvini” (noi chi?, si chiede maliziosamente Aldo Grasso sul Corrierone della Sera) che immediatamente trova entusiastiche adesioni anche nella Tuscia. Le truppe (non ancora cammellate) guidate dal maresciallo Fusco Umberto prontamente scendono in campo a sostegno. Ma la proposta (adesso si chiama così) salviniana sembra interessare parecchi errabondi del centrodestra. Stop ha detto il Matteo lombardo, promettendo (o minacciando) severissimi esami del dna a chi ha voglia di aderire. Vedremo… Intanto sulle rive dell’Urcionio è tutta una gara a dimostrarsi di puro sangue padano. E così ecco l’arrivo serale in città di Bossi, accolto come uno statista, facendo finta di dimenticare l’imperdibile scenetta dell’Umberto che, invitato dall’allora governatrice Polverini a gustarsi penne all’amatriciana, inondò i presenti non solo con schizzi di sugo e di guanciale (nonostante fosse imboccato dalla stessa Renatona), ma li deliziò anche con rumoracci orali per dimostrare concretamente che la colazione sotto i gazebo era di massimo gradimento. E subito dopo, il viaggio a Milano di Fusco e del fido Pinna con tanto di tappa in via Bellerio, sede storica della Lega, a rinsaldare legami che più saldi non si può.
All’incontro viterbese, nessuna traccia degli aderenti a Patriae (genitivo singolare o nominativo plurale?) che pure fanno capo al sindaco di Verona, Flavio Tosi, uno che con Salvini fila d’amore e d’accordo. Pare che tra i protoleghisti della Tuscia e gli adepti di Federico Fracassini non corra buon sangue (eufemismo). Si ignorano, anzi si detestano (e nemmeno cordialmente). E così alla vigilia del Natale ecco arrivare a Viterbo lo stesso Tosi che benedice Patriae (dativo singolare o nominativo plurale?) senza la presenza di uno straccio di fuschiano o di pinniano. Sgarbo restituito e rapporti ancor più tesi. Ma alle prossime elezioni (come e quando si faranno) non dovranno allearsi? Certo che sì. Intanto si odiano.
Dicono i bene informati, o i più maliziosi, che sia tutta una questione di potere, di visibilità. E di futuri incarichi. Perché se e quando ci sarà da spartirsi poltrone, sedie e strapuntini tutti vorranno essere in prima fila. Le due leghe viterbesi per ora cercano di allargarsi, previo rigoroso esame del dna. Sempre ammesso che se ne farà mai uno…