Mentre tanti americani, prendi i Kennedy ad esempio, rappresentano ormai un ricordo lontano, da sfogliare o rivedere in vecchi documentari, i Castro fanno ancora parte del presente. Ok, invecchiati. Mutati rispetto agli albori rivoluzionari. Ma ancora protagonisti della storia. Immobili, mentre il mondo attorno cambiava e cambia.
Cuba e Stati Uniti. Mai così vicini. Cos’ha spinto Obama a dialogare coi Castro? Che piega prenderà questa tenera ma decisiva stretta di mano? Il forum è aperto. Da un lato Mauro Evangelisti. Scrittore forlivese, giornalista della squadra de Il Messaggero, prima di Viterbo (ha una sua rubrica sul Move magazine) e poi a Roma. Uno che il tema l’ha già toccato. Dedicandogli addirittura tre libri: La marcia su Cuba, Carretera central e Il figlio di Fidel.
Dall’altro Francesco Corsi. Altro giornalista e altro scrittore. Canepinese di nascita ed innamorato delle contrapposte dinamiche sudamericane. Beccato telefonicamente un secondo prima di imbarcarsi per Washington.
LE MOTIVAZIONI
“L’ostinazione dell’ala conservatrice americana è pari soltanto all’anti-americanismo di Fidel – apre Corsi – Logico che prima o poi doveva succedere. Si viaggiava sull’anacronistico. Basti pensare che li divide un’ora d’aereo. Una lieve liberalizzazione si era già notata poi a Cuba, mi riferisco alla micro-imprenditoria. Ci si lavorava da molto sull’accordo, insomma. Obama si è mosso alla grande”.
“Non credo sia solo un discorso legato alle leggi dei mercati – ora tocca ad Evangelisti – Anche perché Cuba è piccolissima. Diciamo che da parte degli Stati Uniti non reggeva neanche più il non voler dialogare con i paesi sotto dittatura. E allora la Cina? Inoltre Obama non è sotto pressione, sta chiudendo il secondo mandato. Quindi è libero, in un certo senso, di azzardare. Non ci dimentichiamo della stretta di mano con Raúl. Sul fronte opposto pesa invece la situazione Venezuela. La crisi legata al petrolio taglia fuori diversi fondi tra due realtà collegate economicamente”.
IL RUOLO DEL PAPA
“Francesco è sudamericano – sempre Corsi – conosce certe dinamiche e sa guardare al pratico. In sostanza, quando c’è da sporcarsi le mani non si tira indietro. Ha operato con spirito costruttivo, comprensivo. Il suo classico approccio”. Poco europeo, verrebbe da aggiungere. “Già la visita di Wojtyla sull’isola (1998, ndr) probabilmente aveva sviscerato effetti pregnanti – taglia corto Evangelisti – Tirando fuori Fidel da quel pericoloso arroccamento. Figuriamoci quindi cosa può aver comportato il parere concreto di Francesco. Decisivo”.
LE CONSEGUENZE
“Mi chiedo se finalmente i cubani potranno utilizzare internet – ancora Evangelisti – attualmente naviga circa il 10 percento dei totali. E poi, ancora, cosa succederà alla base di Guantanamo? Territorio conteso tra le parti. Non credo infine in uno snaturamento cubano. L’odio-amore nei confronti dell’America, e viceversa, c’è sempre stato. Ma l’identità isolana è forte. Non succederà come in Cina, in sostanza”.
“C’è il rischio che quello stile e quella poesia vengano meno – Corsi – ma in un mondo di diseguali è inevitabile. E poi Cuba è Cuba. E la manovra è stata ragionata a lungo, altro che 18 mesi come si legge. Non sarà certo invasione”.
FINE DEL REGIME?
“Lo scopriremo con calma – chiude Corsi – Contava dare un segnale, e Obama lo ha fatto. Credo ci sia molta curiosità da ambedue le parti. Proprio delle popolazioni. A prescindere da idee politiche e posizioni varie”.
“I Castro ci stanno ancora, occhio – ricorda Evangelisti – quindi no, affatto. Non dimentichiamoci poi che, a proposito di regime, quello cubano è particolare. Non stiamo parlando della Korea del Nord. Di cubani si trovano ovunque. Chi può viaggia. Parlano coi turisti. Conoscono il mondo. Chiaro, Fidel prima e Raúl poi si sono mossi in scarsa democrazia. Ma quello è un popolo smaliziato. In buona interazione, con discreti margini di libertà”.
Un viaggio a Cuba, ora più che mai, non è solo interessante. Ma diventa anche un’utile chiave di lettura della storia contemporanea.