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Giornalisti cornuti e mazziati

L'editore Roberto Angelucci

L’editore Roberto Angelucci

C’era una volta, nella valle incantata, un quotidiano di carta stampata. Il Nuovo Corriere Viterbese, così si chiamava la testata. E qui le rime finiscono. Perché da fiaba la vicenda si trasforma rapidamente in tragedia. Il giornale locale, dalla testatina blu e formato da giovani et rampanti redattori, ha avuto vita breve ma intensa. Nato nel giugno 2008, è tramontato nell’estate 2012. Ciò nonostante ha lasciato nel panorama provinciale segni fortemente indelebili. Soprattutto sui collaboratori (interni ed esterni, loro e i segni). Gli stessi non si sono visti accreditare gli stipendi, pardon, i rimborsi (cifre bassine e rilasciate ogni tre, quattro mesi, condite da contratti a dir poco creativi) degli ultimi 365 giorni lavorativi. Alba più, Alba meno. C’è chi se n’è andato prima del tracollo, gettando la spugna e intravedendo un futuro poco roseo. Saggia scelta. Chi invece ha tenuto duro. Ed è affondato insieme alla barca. Senza una lira in tasca.

Ma passiamo al 2014, a questi giorni. La brutta vicenda di cui sopra (nessun avvocato, compresa l’associazione Stamparomana, ha consigliato di procedere penalmente per recuperare il denaro: “tempo speso inutilmente”) era cosa ormai digerita. Se non fosse che di mezzo eccoti Equitalia. Quell’apparato privo di cuore atto a recuperare spicci in giro per lo Stivale. A qualche collaboratore (gli altri poi spiegheremo più in là come mai non son caduti nella rete) il postino di turno ha recapitato le classiche cartelle. Scavando un po’ si è venuto a capire che fanno capo a debiti relativi proprio al primo semestre 2012. E, strano gioco del destino, sono legati al Nuovo Corriere viterbese. Poiché dietro ci sarebbe la Ro.Ri., società che amministrava la baracca e che, per geolocalizzarla, vanta la proprietà della clinica Santa Teresa, quella sulla Tuscanese. Metà paradiso degli Angelucci, insomma.

“Mi sono arrivati da pagare 600 euro – parla uno dei fortunelli estratti dal cilindro, che preferisce restare anonimo – non a me, a dirla tutta, ma a mio padre. All’epoca facevo capo a lui, fiscalmente parlando. Non capiamo come mai. Perché dovremmo sborsare la suddetta cifra se quel periodo ho sì lavorato, ma non mi hanno pagato?”.

E qui sorge il dilemma. Sarà mica che gli stipendi (pardon di nuovo, i rimborsi), nonostante non siano stati elargiti, siano comunque stati scaricati dalle tasse? Un bel gruzzoletto, in fin dei conti. Che a chiusura di cassa (o di testata) avrebbe permesso alla direzione di avvalersi di una scontistica (decente) sulle tasse. Come si dice? Dopo il danno la beffa.

Ma allora, perché a qualcuno è arrivato il salasso e a altri no? Semplice. Perché solo chi ha superato la cosiddetta soglia minima, non avendola (per logica, non lo sapeva) dichiarata, è incorso nel tranello. E poi si sa, i controlli sono a campione. Il giornalista (o la) di cui sopra, essendo a carico dei genitori, con sei mesi di contributi non finiti sul 740 (che molti non compilavano, poiché non arrivavano proprio alla soglia minima), ha inguaiato i suoi, e ora deve pure tirar fuori gli interessi.

A questo punto sarebbe carino andare a vedere se i rimborsi dell’intero anno (quindi anche parte del 2011) risultano regolarmente comunicati alle alte finanze. Così, tanto per capire se uno ha evaso lo Stato senza manco saperlo. E, per chiudere, senza manco vedere il becco di un quattrino.

Altro che valle incantata. Questa è una valle di lacrime. E a piangere sono sempre gli stessi.

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