Ci perdoni Raffaela Saraconi, assessore ai lavori pubblici (e a tante altre cose) della giunta capitanata da Leonardo Michelini. Ci perdoni se esprimeremo nei suoi confronti (ovviamente limitandoci alla funzione pubblica che la medesima svolge a palazzo dei Priori) giudizi poco lusinghieri. Ma alla luce degli ultimi accadimenti, riguardanti soprattutto la raccolta differenziata dell’umido, e a tutto il caos che ne è seguito (anche in consiglio comunale, con prese di posizione piuttosto dure da parte di autorevoli esponenti della maggioranza), la conclusione non può essere che una: il mestiere di assessore non fa per lei.
Il che, non può e non deve essere considerata una bestemmia. Giacché la sora Lella (perché a noi piace affettuosamente chiamarla così, in quanto le vogliamo bene) magari sarà un ottimo – anzi eccelso – architetto (sua occupazione principale prima dell’avvento nel Comune viterbese). Magari saprà fare bene, anzi benissimo, tante altre cose (compreso un buon piatto di spaghetti all’amatriciana). Ma l’assessore proprio no.
Certo è che, dopo la maturità classica, si è laureata in architettura presso l’università “La Sapienza” di Roma col massimo dei voti (110/110) ed ha poi aperto uno studio a Valentano per esercitare la libera professione, dopo essersi iscritta all’Ordine viterbese degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori. Negli anni ha operato (con successo, aggiungiamo noi) nel campo dell’edilizia residenziale pubblica e privata, dell’urbanistica e del restauro. Ha inoltre svolto incarichi di dirigenza del settore tecnico di due Comuni della Tuscia. Ma quello di assessore non è il mestiere che fa per lei. Come si dice negli ambienti cattolici, Dio non ce l’ha proprio chiamata.
Della sua inadeguatezza gli attenti osservatori delle cose di palazzo dei Priori se n’erano accorti già da un pezzo, ma tant’è. Certo è che arrivare a far perdere le staffe a un consigliere comunale pacioso come Maurizio Tofani (che oltretutto milita nella stessa lista dell’imputata), significa solo una cosa: che la situazione è senza rimedio.
Quelli che hanno una certa età ricordano i primi anni ’80, quando Viterbo fu messa sottosopra per alcuni mesi per il rifacimento di strade e piazze del centro storico, anche in vista della visita di Papa Giovanni Paolo II. Viterbo era un cantiere a cielo aperto e il sindaco dell’epoca, tale Silvio Ascenzi, detto il Contadino, veniva costantemente visto di buon mattino passeggiare per il centro della città per controllare personalmente l’avanzamento dei lavori, dare suggerimenti dove serviva e – se necessario – fare anche qualche buon cazziatone. La cosa, all’epoca, gli valse una grande popolarità e la stima di tanti viterbesi.
Ora, tanto per fare un piccolo paragone, l’avvio della raccolta differenziata dei rifiuti è una di quelle cose da maneggiare con la massima cura, perché comporta una serie di fattori concatenati affinché il servizio vada a buon fine: dall’informazione capillare ai cittadini perennemente distratti, alla sorveglianza costante e persino pedissequa nei confronti degli operatori, alla modulazione dell’organizzazione sulla base delle problematiche che – soprattutto nei primi giorni – possono venir fuori.
Insomma, per una cosa così delicata quanto importante, serve (pardon, sarebbe servito) un assessore di trincea, di prima linea, capace di prendere in mano la situazione sin dall’inizio e di adottare di volta in volta le necessarie decisioni e i necessari provvedimenti. Insomma, ci sarebbe voluto un novello Silvio Ascenzi, nel segno di quel proverbio (ah, la saggezza popolare!) che recita: “L’occhio del padrone ingrassa il cavallo”.
E invece? E invece ai viterbesi del terzo millennio è toccata (ahiloro!) la sora Lella, capace soltanto di scaricare tutte le responsabilità (e non è la prima volta assume un atteggiamento del genere) su Viterbo Ambiente. Che le sue colpe ce le ha pure. Ma non sono inferiori a quelle dell’assessora.
Tanto per non farci mancare niente, a questo punto, va anche rimembrato (giacché la storia è storia e spesso aiuta a capire) il caratterino della nostra, che accusò – con tanto di lettera scritta – il collega Alvaro Ricci (uno che, al contrario, non riesce proprio a stare fermo) di voler far troppo e di invadere il suo campo. Il problema, anche in quel caso, era che Ricci si muoveva guidando una Ferrari e la sora Lella una Bianchina.
Detto tutto ciò ed esprimendo a Raffaela Saraconi tutto l’affetto possibile e immaginabile, ci permettiamo di darle un umile consiglio: torni al più presto a fare l’architetto. I viterbesi le saranno perennemente grati.