Una bella boccata e passa la paura, e magari passa pure la crisi. Chi – o meglio: cosa – risolverà i problemi della disastrata agricoltura laziale, alle prese con danni da maltempo, progressivo abbandono delle campagne e mille altri imprevisti. Cannabis, la risposta è cannabis. Quella coltivazione che oggi porta floridità e ricchezza (e migliaia di fricchettoni) dall’Olanda al Colorado e che in passato ha garantito la sussistenza delle comunità agricole, che invece di fumarsela, la cannabis o canapa, la utilizzavano per fare tessuti e carta, olio combustibile e mangimi. E’ quest’ultima, in effetti, la strada più innocua e legale che si vuole tornare ad intraprendere oggi nella nostra regione, specie se dovesse passare la proposta di legge depositata alla Pisana dal consigliere Riccardo Valentini della lista Per il Lazio insieme al collega di Sel Gino De Paolis di Sel.
Valentini, da scienziato affermato o forse da nativo di Tuscania (dove la canapa aveva tutta una sua tradizione agricola) spiega: “Con la nostra proposta puntiamo a promuovere l’avvio di un progetto pilota finalizzato alla realizzazione di filiere produttive regionali riguardanti i prodotti realizzabili dalla coltivazione, lavorazione e trasformazione della canapa nonché alla verifica della sostenibilità economica ed ambientale dei relativi processi produttivi. L’obiettivo è poi quello di favorire, attraverso gli strumenti dei bandi attuativi di regolamenti europei nei settori delle attività produttive, dell’ambiente e delle risorse energetiche, gli interventi che prevedono l’impiego della canapa e dei suoi derivati. Interventi che riguarderanno esclusivamente la canapa coltivata senza l’impiego di prodotti diserbanti, nanizzanti o disseccanti”. E naturalmente a bassissimo (anzi, “trascurabile”, come dice la legge) contenuto di Thc, quel teatraidrocannabinolo che è il principio attivo che determina nella canapa, sativa o indica, le qualità farmacologiche e psicotrope. Insomma: senza Thc, la canapa non fa. Non sconvolge. E negli usi “civili” è legale.
Quali usi, allora? Li spiega direttamente Valentini: “Si tratta infatti di un precursore dell’industria chimica, in quanto consente di ottenere vernici, saponi, cere, cosmetici, ecc., non inquinanti e totalmente biodegradabili. In campo edilizio i modelli di costruzione già applicati e basati sul suo utilizzo consentono poi di raggiungere un elevato risparmio energetico attraverso l’uso dei materiali naturali derivati dalla canapa, con un basso livello di energia grigia (la quantità di energia necessaria per l’estrazione, la trasformazione, l’impiego e lo smaltimento) e la riduzione al minimo del fabbisogno energetico per riscaldare/raffrescare l’edificio, ottimizzandone le prestazioni igrotermiche. Inoltre, grazie agli incentivi per la riduzione dell’anidride carbonica nell’atmosfera, ogni lavoro eseguito con materiali che tolgono CO2 dall’aria viene premiato con certificati verdi e detrazioni fiscali. Dopodiché, la canapa viene utilizzata per la sua elevata capacità fonoassorbente ed il basso peso nell’industria del mobile, della carta, in quella mangimistica e soprattutto in quella automobilistica”. In più pare che la canapa assorba anche gli agenti inquinanti nel terreno. E proprio per la sua poliedricità – sostengono i complotissti – pare che la sostanza sia stata boicottata, all’inizio del Novecento, dalle emergenti industrie petrolifere e cartiere.
Insomma, qualcuno preferirà anche la cannabis illegale: sono affari suoi e dei suoi neuroni. Ma la canapa senza Thc è decisamente più utile per fare un sacco di cose. E non si corre il rischio di restare senza cartine.