La Flaminia di Civita Castellana è prima in classifica, nel girone E di serie D. E ci sarebbero diversi modi per raccontare questo risultato clamoroso, al netto del fatto che si sono giocate appena sette giornate di campionato e che domani siamo all’ottava (a Civita arrivano i fiorentini del San Donato Tavarnelle).
C’è la versione proletaria, che suona più o meno così: l’unica realtà industriale della Tuscia, strozzata dalla crisi, debordante di cassintegrati, piena di complicazioni sociali, sta dando una lezione calcistica alle squadre umbre e toscane, espressioni dirette di economie che se la passano molto meglio (o meno peggio) di noi. Altra versione, più o meno collegata alla prima: la Flaminia avrà meno soldi a disposizione per allestire l’organico, ma ha dirigenti che sanno scegliere giocatori migliori rispetto alle concorrenti. Vale a dire, la vecchia e cara specialità italiana di sapersi arrangiare, di fare le nozze coi fichi secchi. Un’eventualità, quest’ultima, che manda in deliquio i vecchi romantici (ormai pochi) che credono ancora che anche i più poveri possano andare in paradiso.
La realtà, come al solito, è nel mezzo. La Flaminia è un miracolo. Senza quattrini da spendere, dopo che lo sponsor principale dell’omonima industria ceramica ha progressivamente chiuso i rubinetti, con un bacino d’utenza (cioé di tifosi paganti) risicatissimo, fa calcio per fare calcio. Senza pressioni, senze obblighi, senza cambiali da pagare, senza obiettivi da inseguire. E’ il gioco del pallone nella sua vera essenza, insomma.
C’è un presidente, Roberto Ciappici, che rappresenta il calcio a Civita Castellana da parecchi lustri. Ma che non è un magnate, non ci mette i soldi, non va a trattare con questo o quel procuratore. Ha fatto tanti anni di Eccellenza, e tutto andava bene: è tornato in D sette anni fa (col titolo del Bassano Romano) e non più sceso. Non fa proclami, non si mette la cravatta, durante la settimana è al campo a sistemare le buche o gli spogliatoi: un personaggio d’altri tempi.
E poi, naturalmente. c’è lui, Lillo Puccica da Capranica, all’anagrafe Rosolino. Da quattro stagioni consecutive artefice del miracolo di cui sopra. Già, Lillo. Un mistero avvolto nell’enigma, per dirla alla Churchill. Uno nato per giocare a calcio, perché a Capranica ci deve essere qualcosa nell’acqua (concittadini illustri: Andreoli, campione d’Italia con la Roma del 1942, Manlio Morera, morto troppo giovane, Mauro Romagnoli, Marco Pollini, David D’Antoni). Da allenatore: prima emergente (uno scudetto Berretti con la Lodigiani), poi di moda (Viterbese, Lanciano, Fermana, Lodigiani, Olbia tra i professionisti), quindi dimenticato. E’ ripartito da Civita, con umiltà e con la rassegnazione di doversi trovare un altro lavoro part time per mantenere la famiglia. Poco male: in questa Flaminia, come nelle ultime quattro che ha allenato, c’è il suo timbro. Lillo si è sempre adattato alle esigenze del club, senza lamentarsi, si è andato a cercare i giocatori dappertutto. Li convince così: “Qui non ci sono tanti soldi da fare, ma si può giocare tranquilli, ci si può mettere in mostra, e poi un domani chissà”. E infatti, i ragazzi lo adorano: che siano ex famosi decaduti, giovani in cerca di rivincita, onesti mestieranti di categoria in cerca di un ingaggio per pagare le bollette. Tutta gente che, sotto Puccica, si trasforma: dando il massimo, esaltandosi, diventando mostri e spiazzando così gli avversari, troppo spesso arroganti. L’elenco dei rigenerati da Puccica è lungo: solo quest’anno vanno citati Cota e Bricchetti, Sciamanna, Polidori, Buono, tutta gente che si butterebbe nel fuoco se Lillo glielo chiedesse (e spesso lo fa). Motivatore, preparatissimo tatticamente (adora la difesa a tre ma sa che non sempre è possibile applicarla in serie D), reattivo sui cambi e sulle scelte degli uomini: quando allenava la Viterbese in C1 sembrava la versione all’amatriciana di Marcello Lippi, che ai tempi dominava con la Juventus. Al quadretto vanno anche aggiunti quegli “sbalzi d’umore” che spesso fanno incorrere il mister in qualche squalifica di troppo: l’ultima, rimediata domenica scorsa, lo terrà lontano dalla panchina per tre giornate. Poco male: il personaggio.
Così la Flaminia è prima in un girone che vede in campo realtà ricchissime e blasonate come il Siena (l’anno scorso era in serie B, poi è fallita), il Foligno di Vegnaduzzo, le retrocesse dai professionisti Poggibonsi e Gavorrano e le nobili decadute Massese e San Giovanni.
Durerà, non durerà? A Civita Castellana non si preoccupano: semmai si divertono, perché non hanno nulla da perdere, perché nessuno dalla tribunetta fredda del Madami si è mai permesso di fischiare. Perché perdere non è una disgrazia, ma vuoi mettere il gusto di insegnare? Alle avversarie supponenti, certo, ma forse anche al calcio italiano di oggi: ricco, scemo e cieco di fronte a tanta ricchezza, tecnica e umana. Basta andarlo a cercare in provincia.
Il piccolo mondo antico della Flaminia
di Andrea Arena
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