“Matteo Renzi? E’ un bullo sfacciato, che però sta tentando di abbattere quel muro che da tanti anni tiene isolata l’Italia e che non la fa progredire. Non è simpatico, ma in questo momento è quello che ci vuole. Io sto con lui”. Le parole sono di Corrado Augias, pronunciate venerdì scorso alla radio nel programma di Serena Dandini “Stai Serena” (in onda tutti i pomeriggi alle 15, 30, dal lunedì al venerdì) e rappresentano forse l’immagine più calzante dell’attuale presidente del Consiglio, impegnato come non mai a “cambiare verso” allo Stivale.
Ho voluto riportare questa citazione, giacché in questi ultimi giorni – dopo l’ufficializzazione da parte del Governo della cosiddetta legge di stabilità – l’Italia si è di nuovo spaccata in due. Tra chi riconosce all’esecutivo lo sforzo di voler cambiare veramente (del resto, per ammissione di tutti, una finanziaria così non s’era mai vista negli ultimi lustri) e chi invece tenta ancora una volta di frenare per mantenere le posizioni acquisite (è il solito ritornello: cambiare sì, ma siano solo gli altri a farlo).
Senza volermi sostituire ad analisti sicuramente più preparati del sottoscritto, mi rivengono però in mente le parole di Silvio Berlusconi quando era in auge: “Non mi lasciano governare”, con riferimento soprattutto ai suoi alleati Fini e Casini. A distanza di tempo va riconosciuto all’ex cavaliere di Arcore che tutti i torti non li aveva, anche se sui suoi progetti di cambiamento pesavano (come macigni) gli interessi personali (economici, giudiziari e via discorrendo) di cui era portatore. Fatto è che quella rivoluzione liberale e di Stato leggero da lui immaginata nel 1994 è rimasta nel cassetto. E, alla fine, nella storia dei suoi Governi rimarrà soltanto (ahimé) l’approvazione della riforma che portò la patente a punti (oltre quella elettorale, per la quale vale ancora il giudizio di Roberto Calderoli, che la definì “una porcata”).
Corsi e ricorsi storici. Ora il conquibus si sta ripetendo, ma con una sostanziale differenza, giacché l’ex sindaco fiorentino non ha nel suo armadio gli scheletri che hanno sempre offuscato i programmi del Berlusca. Ma tant’è. Gli interessi che è andata a toccare la “finanziaria secondo Matteo” rappresentano la carne viva per la sopravvivenza di certi settori, che dunque si mettono di traverso, urlano, sbraitano, si agitano e sono disposti a tutto per non perdere i diritti (o privilegi) acquisiti.
A cominciare dalle Regioni. Gli enti più dissipatori degli ultimi quarant’anni. Che ne hanno fatte vedere al cittadino contribuente di tutti i colori (fare l’elenco delle malefatte comporterebbe una lista da scrivere su uno di quei rotoli “che non finiscono mai”) e che oggi rifiutano qualsiasi tipo di dimagrimento. Tanto per fare un esempio: la Regione Lazio spende attualmente circa 20 milioni l’anno per pagare lautissimi vitalizi ai suoi 266 ex consiglieri (Viterbopost ha pubblicato un dettagliato articolo lo scorso 8 agosto – https://www.viterbopost.it/2014/08/sei-viterbesi-nellesclusivo-club-del-vitalizio/). Spesa che rappresenta ben il 25 per cento dell’intero bilancio dell’ente. Basterebbe dimezzarli (anche perché 3 mila euro al mese per chi ha fatto un solo mandato sono una bestemmia, in un’Italia dove ormai si va in pensione quasi a 70 anni, con 40 anni di contributi, per percepire sì e no mille euro) per soddisfare le richieste del Governo. Come pure, non sta scritto da nessuna parte che il consigliere regionale debba prendere lo stesso stipendio del parlamentare e abbia diritto a una pletora di portaborse. Tutti soldi prelevati, tramite la famigerata addizionale regionale Irpef (che nel Lazio, nel 2014, è passata dall’1,73% al 2,33%), dalle tasche dei cittadini. Per non parlare dei convegni a base di ostriche, dei computer, e perfino delle mutande comperate coi soldi dei contribuenti.
Ma tant’è. Dispiace che al coro delle opposizioni (del resto, loro fanno il proprio mestiere) si sia aggregata quella sinistra che da tempo immemore ha perso il contatto con la realtà, che ha smesso di dialogare con una società che stava rapidamente cambiando e che negli ultimi vent’anni ha lasciato campo libero – grazie alla sua pochezza di idee e di fatti – a una destra capace di esaltare più la pancia (e i mal di pancia) del Paese, piuttosto che il cervello. Ora, passi per la sinistra antagonista e per la Cgil (ancora aggrappati, sembra di capire, a un mondo che non esiste più), ma è deprimente vedere gente come D’Alema, Bersani, Fassina arroccarsi su posizioni che sono strumentali e nulla più.
Io non sono in grado di capire oggi se la manovra del Governo riuscirà a far ripartire l’Italia. Lo spero, ma senza alcuna certezza. Ma so di sicuro che è un tentativo per provarci. Per fare qualcosa. Per non rimanere ancora una volta impantanati nella melma che ha prodotto l’azzeramento della crescita. E allora anch’io, come Corrado Augias, sto con Renzi. Con quel bullo spavaldo, e anche un po’ spaccone, che sta tentando di scartavetrare il Paese dalle sue ruggini.
E, agli scettici di sempre, pongo una semplice domanda: esiste oggi un’alternativa valida? E se sì, qual è?
In un interessantissimo saggio, vergato nel 2006, intitolato “Non pensare all’elefante!”, George Lakoff afferma che le persone non votano secondo ragione, votano secondo emozione valoriale. Non votano per il proprio interesse, ma votano per i valori in cui si identificano. Un voto in cambio di un desiderio, un voto in cambio di un’identità. Ecco, le alternative valide ci sarebbero pure ma crollano miseramente a causa della feroce tenacia dello spoil system italiano. Italiani che “mi sistemi il figlio” e italiani in pantofole e canotta a bersi le promesse fallaci di un premier che prende impegni istituzionali dai salotti blasé di Canale 5. Venghino siori venghino! Che nonostante la precedente manovra delle 80 Euro abbia mostrando notevoli gambe d’argilla, lui, noncurante del destino venturo dello stato, promette altre panzane per tornaconto personale.
Si vuole imporre il diktat dei tagli alle Regioni? Ben venga, perdincibacco! Ma ad una condizione: i tagli devono essere mirati e non lineari.
Veramente devo essere io a dirle che se si impartiscono dei tagli senza specificare dove effettuarli, le Regioni NON taglieranno i privilegi dei privilegiati (scusi il giochino!) ma sforbiceranno il welfare?
Succederà infatti che, poste davanti ad un obbligo generico, prenderanno la sanità e cominceranno a sfettucciare tra i servizi e il personale, fino a che non si saranno rimessi un minimo in sesto.
Sì viva renzi e le sue nuove tasse sui fondi pensione e su tutti i tfr, osanniamo chi ci deruba e ci prende per il culo, mi raccomando