Pare che venerdì, agli ospiti accalcati che hanno assistito al taglio del nastro, sia apparso un fantasma. E’ sbucato da uno dei 55 vani del maniero, era basso e non troppo in forma, la voce garrula e l’accento romanesco: “Ho cacciato l’allenatore, ma lo ho fatto soltanto per vincere il campionato”, ha detto l’ectoplasma prima di sparire tra effluvi di porchetta, biada da cavallo e vino dei castelli.
I castelli, già, il castello. Quello di Torre Alfina, riconsegnato lo scorso fine settimana a nuova vita con la gestione della famiglia Boscolo, che ha preso in affitto l’imponente struttura nel territorio del comune di Acquapendente (di cui è frazione), a nord della provincia di Viterbo, in quell’Alta Tuscia che unisce il verde e l’aria buona ad una terra dai sapori generosi. A 620 metri sul livello del mare, in una posizione dominante sulla valle del Paglia, fino all’Amiata a nord, al lago di Bolsena a occidente e ai Cimini a sud, ecco il castello, costruito su un’antica torre d’avvistamento longobarda da Cataluccio di Galasso di Bisenzio, signore di Torre Alfina e poi passato di mano, tra ristrutturazioni e ampliamenti, incrociando nei secoli il destino d’Italia.
Fino ad oggi, quando la famiglia Boscolo – holding internazionale della ristorazione e dell’accoglienza a cinque stelle – ne ha ottenuto la gestione dal tribunale, e prima di raccontare perché questo posto di fiaba sia arrivato a tale sorte, vale la pena raccontare l’inaugurazione di venerdì, presente lo chef Rossano Boscolo e il sindaco di Acquapendente Alberto Bambini, la banda musicale, e gli abitanti del borgo famoso pure per il cinghiale e il gelato, entrambi succulenti. Un primo giorno che avrà seguito in tutti i fine settimana, dal venerdì alla domenica, per le visite al pubblico (orari e informazioni suwww.castellotorrealfina.it)
Ed è proprio sul sito internet ufficiale che si scopre la storia del castello, e ciò che è diventato oggi, un posto di lusso per eventi e cerimonie (scommessa facile facile: la prossima primavera sarà pieno di coppie inglesi in matrimonio), con l’accoglienza e la cucina di Boscolo. Incantevole.
Ma resta da evadere la storia di quell’apparizione fantasma, e del perché fino a qualche giorno fa il castello fosse chiuso. Tutto risale alla seconda metà degli anni Novanta, e quella che sembrava un’altra favola, ma non gotica alla fratelli Grimm, semmai vagamente all’amatriciana. E’ la storia della rutilante ascesa – e poi della fragorosa caduta – di Luciano Gaucci, che da oste e tramviere romano de Roma scalò prima il mondo imprenditoriale (settore pulizie, con la sua ditta La Milanese, chiamata così “perché dava un senso di efficienza”, spiegò lui) e poi quello sportivo. Nell’ippica, quando l’ippica era ancora una miniera d’oro, grazie alle vittorie del fenomenale cavallo Tony Bin, e dopo nel calcio, rifugio non solo dei peccatori. Vicepresidente della Roma, poi in proprio col Perugia portato in serie A tra scandali e turbinii di allenatori, e anche alla Viterbese, comprata nel 1999 quando era in serie C2.
Proprio allora l’epopea di Torre Alfina raggiunge il suo acme, tra presentazioni di calciatori esotici (Hidetoshi Nakata per tutti), megapranzi coi giornalisti locali (cioé viterbesi) sconvolti da uno sfarzo e un’arroganza che sarebbe diventata, di lì a poco, materia dei Cafonal per Dagospia. E ancora: i servizi celebrativi della Rai – sempre sensibile al fascino dei romani che ce l’hanno fatta – di Luciano nel suo castello con principessa bionda al fianco. Laddove la donzella era Tulliani Elisabetta, destinata a diventare l’attuale signora Fini, in un circuito di pallone, politica, fratelli e cognati, cariche presidenziali e gossip. Lassù, tra i merletti e il parco, gli arazzi damascati e le poltrone rococò, Gaucci ingaggiò campioni e licenziò brocchi, esonerò allenatori (tanti) e cedette società, tra cui la stessa Viterbese. Ma incontrò anche politici – a partire dai suoi amici viterbesi di Forza Italia come Giulio Marini e Francesco Battistoni, allora inseparabili gemelli – e banchieri di grido. Quegli stessi banchieri che nel 2005 decretarono il crack del suo Perugia, la fuga (una definizione a metà tra la latitanza e l’esilio, così non si arrabbiano né i giudici né lo stesso Lucianone) di Gaucci a Santo Domingo e la messa all’asta dello stesso castello di Torre Alfina.
Che oggi ha riaperto i bastioni al pubblico, per le visite guidate, e che confida nell’eccellenza dei Boscolo per rilanciare l’immagine a livello nazionale e oltre. Forse sarà per questo che, nella storia del luogo sul sito, si fa ben attenzione a non citare l’ultimo proprietario. Peccato. Poi non vi lamentate se un fantasma birichino continuerà a fare visita ai turisti e agli ospiti: è soltanto la vendetta di Luciano, l’ultimo signore di Torre Alfina.