Il territorio del monte Nerone mostra paesaggi di grande fascino. Itinerari montani si aprono su vallate mozzafiato con una fitta vegetazione che si inerpica sul calcare massiccio. Un ecosistema di straordinaria bellezza con un paesaggio modellato per milioni di anni da fenomeni carsici ancora oggi attivi. Una delle località più suggestive del territorio è certamente quello di Fondarca, un arco naturale che documenta con chiarezza il carsismo di quest’area. L’arco è il relitto di un’ampia cavità crollata millenni orsono e facente parte probabilmente di una rete intercomunicante di grotte naturali. Proprio la natura in questo luogo ha saputo ricreare un’atmosfera particolarmente seducente. A pochi metri dall’arco di Fondarca si apre una cavità dall’accesso angusto, la “Grotta delle nottole”. La grotta ha una profondità di circa 40 metri e raggiunge una larghezza di oltre 20 m. Questa cavità è stata occupata dall’uomo sin dall’antichità. Per questa ragione il Dipartimento di Scienze dei Beni Culturali dell’Università della Tuscia, sotto la direzione scientifica del prof. Gian Maria Di Nocera ha ripreso gli scavi archeologici, svolti in passato tra il 2001 e il 2005 dalla professoressa Mirella Cipolloni. Le ricerche sono condotte in stretta collaborazione con il funzionario archeologo dottoressa Chiara Delpino su concessione della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, e con il sostegno del comune di Cagli.
Lo scavo, effettuato nello scorso mese di ottobre e conclusosi pochi giorni fa, ha permesso di chiarire alcuni aspetti della occupazione della grotta. La temperatura costante interna di 14 °C e un tasso di umidità dell’ 82%, caratteristiche di poco variabili nel tempo, devono aver costituito da sempre un deterrente per un uso abitativo della grotta. L’indagine stratigrafica ha chiaramente mostrato una frequentazione periodica della cavità che risale sicuramente all’età del Bronzo Medio e Recente che possiamo collocare cronologicamente tra il 1700 e il 1200 a.C. Povera dal punto di vista strutturale, la grotta ha però restituito livelli costituiti da veri e propri focolari e numerose aree di fuoco con ceramica tipica dell’epoca. Non è facile stabilire la specifica funzione che deve aver avuto la grotta durante la tarda preistoria, tuttavia essa si inserisce tra quelle grotte che nell’età del Bronzo devono essere state utilizzate a scopo cultuale. La spiritualità di quest’epoca è legata ai luoghi di altura, alle sorgenti, alla presenza in genere di acque sotterranee, alle cavità nascoste. La “Grotta delle nottole” assume quindi importanza in relazione ad un fenomeno più ampio che vede coinvolte allo stesso modo gruppi di grotte cultuali contemporanee in ambito emiliano-romagnolo e marchigiano in particolare nella gola del Sentino. Lo scavo ha rivelato l’uso della grotta fino al III secolo d.C.
Le indagini sono state condotte, sotto la direzione del prof. Di Nocera, da studenti, neolaureati, dottorandi provenienti dall’Università della Tuscia e di Roma “La Sapienza”, essi hanno utilizzato questa importante esperienza come tirocinio formativo.
L’utilizzo di un “drone”, cioè di un esacottero telecomandato dotato di gps e macchina fotografica incorporata, ha permesso di realizzare foto dall’alto di grande dettaglio dell’area esterna alla grotta, mentre l’uso di un georadar per prospezioni geofisiche sulla zona di scavo ha fornito importanti informazioni sul deposito archeologico, sullo spessore e sulle dinamiche di formazione della stratificazione. Infine i rilievi effettuati con la stazione totale, ma soprattutto con il laser-scanner di nuova generazione hanno fornito una dettagliata restituzione topografica della grotta con una visione tridimensionale della cavità. Durante la campagna di quest’anno è stato possibile, quindi, integrare sistemi tradizionali di ricerca, del tutto insostituibili, con l’applicazione delle nuove tecnologie. Il prossimo anno l’Università di Viterbo sarà impegnata nell’ampliamento dell’area di scavo, ma anche nell’approfondimento di contesti archeologici preistorici della zona per comprendere e quindi valorizzare una delle aree forse meno conosciute, ma certamente più promettenti, della tarda preistoria italiana.