Cosa c’è dopo i confini dell’Ignoto? Oltre le colonne d’Ercole ma anche al di là dei bastioni di Orione? Ai margini dell’impero, là dove le legioni possono soltanto conquistare e distruggere, ma non costruire perché a Roma non converrebbe neanche? Semplice, c’è la Tuscia, la provincia di Viterbo. Terra sempre più alla mercé del potere capitolino, sia esso esercitato dal Governo o dalla Regione. E non inganni Google maps, che dice novanta chilometri scarsi per la Capitale: qui, sulle mappe vere, ci dovrebbe essere scritto “hic sunt leones”. Perché selvaggia e dimenticata è questa contea, e gli ultimi episodi di cronaca confermano e ribadiscono.
Prendiamo il caso più eclatante, la strampalata decisione del ministro dei Beni artistici e culturali, Dario Franceschini, di abolire la Soprintendenza dell’Etruria meridionale. Vale a dire, la struttura pubblica che gestisce l’unico aspetto del territorio riconosciuto a livello mondiale: il patrimonio Etrusco. Idea geniale, non c’è che dire, giustificata naturalmente con la spending review, che ormai si tira in ballo anche per spiegare l’omicidio Kennedy, e che trova nel presidente del Consiglio Renzi (tra l’altro fiero oppositore delle Soprintendenze già da sindaco) il suo profeta laico. E pensare che Franceschini era pure venuto a Viterbo, un paio di mesi fa, accolto come una star, coccolato e vezzeggiato dai quei viterbesi – politici e non – che ancora s’illudevano di poter rilanciare la Tuscia da un punto di vista turistico, artistico e culturale. Balle: questi qui non solo non ci dànno una mano, ma ci tolgono pure quel poco di buono che avevamo. E così, anche la successiva donazione dello stesso Franceschini di 550mila euro (trecentomila per il rilancio di Villa Lante, 250mila per il monastero delle clarisse di Santa Rosa), oggi appare come una ridicola mancetta, un pour-boir che si dà al nipotino picchiatello.
La cosa della Soprintendenza ha scatenato le reazioni più ostili. A Tarquinia, dove con gli Etruschi ci campano, e giustamente se ne vantano, il sindaco Mazzola ha tuonato: “Con un tratto di penna si cancellerebbe un patrimonio con migliaia di anni di storia, e due riconoscimenti Unesco”. Per dire, Mazzola Mauro, uno di centrosinistra da sempre. Ma qui non è più una questione politica, l’ideologia è caduta stavolta non sotto i colpi dei picconi berlinesi, ma davanti ai bulldozer governativi. E anche nell’altra faccenda fresca di cronaca lo dimostra.
Siamo ad Acquapendente, e se Viterbo è già dimenticata, qui siamo in culo alla luna. La Regione, sempre di centrosinistra, vuole trasformare l’ospedale, strategico per un territorio disagiato, in casa della salute. Meno posti letto, struttura e orari più snelli. Il sindaco Bambini, pure di centrosinistra, è pronto ad alzare le barricate: ha fatto la voce grossa, perché si è accorto che altri ospedali del Lazio si sono salvati dalla mutazione, mentre Acquapendente no. E non si capisce perché. Zingaretti, forse spaventato dal gran casino crescente, ora prova a smussare i toni, a garantire che la casa della salute non è poi così malaccio. Ma la situazione resta caldissima, e qualcuno anche quassù parla di referendum per cambiare regione, come vogliono fare ad Amatrice, altra sfigatissima realtà montana accumunata dalla stessa cattiva sorte.
Eppure. Eppure è meglio tacere delle altre fregature arrivate negli ultimi mesi, dai rifiuti di Roma alle promesse sulla Trasversale, alle altre mille panzane. Eppure, eppure se si vanno a fare i conti della serva – qui in provincia siamo maestri – la Tuscia nelle ultime tre elezioni ha portato al centrosinistra la classica acqua con le orecchie. Decine di migliaia di voti alle elezioni politiche del febbraio 2013, quelle che hanno composto l’attuale parlamento. Cinque parlamentari eletti nel centrosinistra. E ancora, sempre a febbraio 2013, altrettanti consensi per Zingaretti, e il centrosinistra che tornava trionfante al governo della Regione: anche qui, due consiglieri regionali di maggioranza eletti. Non basta? Il centrosinistra, il Pd in particolare, che straccia tutti alle elezioni europee, quelle del 40.8 per cento renziano. Insomma, non è che da queste parti non si sia creduto nel progetto democratico, e anzi ai viterbesi andrebbe pure riconosciuto il merito (se di merito si può parlare) di aver dato una bella spallata a Berlusconi e di non aver ceduto alle lusinghe del Movimento Cinque Stelle. Allineati e coperti, da queste parti. E oggi coglionati.