Nei giorni scorsi si è svolta una seguitissima conversazione attorno al tema dell’agricoltura sociale, cui hanno partecipato agricoltori, tecnici ed esperti del settore, amministratori regionali e rappresentanti parlamentari gli interlocutori. Il filo della discussione tessuto abilmente da Saverio Senni ha portato a ragionare gli ospiti su un tema interessante: “Quando è la terra che coltiva le persone. Visioni ed esperienze dell’agricoltura sociale”.
Da molti dei relatori è stato rimarcato come l’agricoltura sociale permetta di riscoprire una dimensione che è insita nell’attività agricola e cioè la capacità di includere e non di emarginare, di sapere insegnare un mestiere che è uno dei più difficili da intraprendere attraverso il passaggio dei sapere dai più anziani ai più giovani. Un mestiere che è un modo di vivere, un’azione continua di controllo, di gestione, di cura dei più piccoli ad opera dei più grandi e delle piante e degli animali grazie al lavoro di tutti.
L’agricoltura sociale restituisce quel senso di comunità che, per dirla con Cinzia Scaffidi, autrice del libro “Mangia come parli. Com’è cambiato il vocabolario del cibo”, ormai viene declinata spesso in senso negativo, come tramite per la guarigione da una dipendenza.
La sensazione dichiarata da coloro che a vario titolo lavorano nel settore, relatori della serata, (Lucia Margaritelli della Fattoria La Sonnina di Gennazzano e AiCARE rappresentata dalla Presidente Francesca Durastanti e Giuseppe Orefice Presidente di Slow Food Campania-Basilicata) è stata spesso quella di lavorare nella incomprensione e nella incapacità di far comprendere la necessità e la bellezza di questo lavoro.
La legge nazionale è stata appena licenziata dalla Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati ed è approdata in aula per la discussione generale. Un primo traguardo per una legge molto attesa dall’intero settore, che amplia la casistica di coloro che possono beneficiare di tale forma di aiuto: non solo la disabilità ma anche il disagio, riprendendo la definizione comunitaria. Non solo disabilità e disagio ma possibilità per l’azienda agricola di sviluppare attività connesse attraverso le quali fornire servizi sociali al territorio.
Non tutto è risolto ovviamente ma ci auguriamo che le tante esperienze che ancora non sono emerse si raccontino e che la tanto auspicata rete di conoscenze attorno a questo tema si strutturi a beneficio di tutti.