Siamo (quasi) tutti vestiti vintage. E non perché ci piacciano da morire gli anni ’70. Quelli delle camicie col collo a punta e delle giacche in pelle strette strette. Bensì perché l’ultima volta che si è usciti per fare shopping (con entusiasmo) ci stava ancora la monarchia. Dopo la caduta dritta a testa in giù nella morsa della crisi economica tutto è cambiato. Si spende poco. E per il solo necessario. I saldi non rappresentano assolutamente un’occasione di rinnovo, bensì un’ancora di salvezza che allontana l’individuo medio dalle mutande con un elastico ormai lungo così.
Sono partiti sabato scorso a Viterbo. Col consueto cauto ottimismo delle associazioni di categoria (al primo “le cose andranno bene” sarebbero linciati), e l’ennesimo pessimismo cosmico dei commercianti. Meglio conosciuto come realismo moderno. Movimento assai in voga all’ombra della Palanzana. Soprattutto dentro le mura. “Io non mi lamento – dice però il tipo della bottega chic al corso – i fedelissimi vengono tutto l’anno. E ora un po’ di più”. Segno che i capi di pregio non conoscono flessione. Poiché i ricchi son sempre ricchi e i poveri disperati in crescendo.
La conferma. “Ho letto che gli ottanta euro in busta paga dovrebbero spingere all’acquisto – replica seccato il collega dirimpettaio – forse son buoni per il latte e la pasta. Non certo per le scarpe. Ormai i saldi li utilizziamo per abbassare la merce di stagione. Un tempo si svuotava il magazzino invece. Ma di che stiamo a parlare?”.
C’è poi il neutro. Come lo shampoo. “Nì – attacca – è trascorso un fine settimana decente. Magari anche il traffico di Caffeina avrà influito. Se non sulla mole di erogazione, almeno sui numeri”.
Tante capocce che girano quindi. Ma pochi portafogli che si aprono. Tra l’altro con attenzione. Si pianifica il percorso (o calvario), si osserva lo stesso prodotto in tutte le salse, poi ci si tuffa su quello più economico. In una guerra fredda che parte da un modesto 20 percento, e sfiora in taluni bugigattoli anche il settanta. “Finora prosegue la crisi del settore, anche se si intravedono alcuni segnali positivi”, spiega il presidente nazionale Fismo, Roberto Manzoni, associazione di categoria che riunisce gli imprenditori del settore moda della Confesercenti. Così ci pensa Peparello nostro a dargli una simbolica legnata.
“La situazione e’ molto più grave di quella che imprese e istituzioni percepiscono – parola di direttore locale, sempre Confesercenti – da gennaio a maggio hanno chiuso quasi 6000 attività di abbigliamento e accessori. Più del doppio di quelle aperte. Un barlume di speranza lo registriamo sul solo recuperare qualcosa sulle perdite. Raccomandiamo comunque a tutti il rispetto delle regole. Infine invitiamo i consumatori a rivolgersi ai propri negozianti di fiducia”.
E buon massacro.