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Pianoscarano, un premio alla storia

Un cartellino d'epoca della Figc

Un cartellino d’epoca della Figc

Giovedì arriverà un altro premio da infilare in quella bacheca zeppa di coppe e di gagliardetti, di targhe e di medaglie. Giovedì, a Palazzo dei priori, il sindaco e il delegato allo Sport consegneranno il premio Città di Viterbo alla Gioventù sportiva Pianoscarano (per tutti, da sempre, il Pianoscarano). A riceverlo ci sarà David Maurizi, ultimo quadro in una galleria di presidenti che va da Edilio Mecarini a Oliviero Bruni, da Lorenzo Ciorba a Gianluca Grossardi.

Sessantacinque anni di calcio stanno tutti qui. Stampati su quelle maglie rossoblu, una volta disegnate a quarti, per rimandare – insieme al grifone nel simbolo – al grande Genoa, la squadra dei pionieri, la squadra degli inglesi, la squadra dei nove scudetti. Sessantacinque anni di calcio risuonano in quel nome così retrò eppure così magico, nella sua innocenza: Gioventù sportiva Pianoscarano, e sotto c’è una storia e la Storia.

Cinque maggio 1949, l’Italia era a lutto, gli sportivi in lacrime. Il giorno prima, l’aereo che riportava a casa da Lisbona il Grande Torino si sfracellò sulla collina di Superga inzuppata nella nebbia. La più grande formazione di tutti i tempi era morta così: solo il fato la vinse. Sull’onda della commozione quell’Italia abituata a ripartire, a ricostruire, a fare tesoro dei sacrifici, non dimenticò. Intitolarono vie e piazze e stadi a quei giocatori straordinari. E qui a Viterbo tre ragazzi già grandi, Edilio Mecarini, Oliviero Bruni e Giorgio Mecarini, decisero di fondare una squadra. Fu lo stesso Edilio, barbiere e presidente, a fare l’iscrizione in Federazione, il 7 maggio 1949. Era nato il Pianoscarano, realtà di quartiere ma del quartiere più tignoso che ci sia a Viterbo: antico e fiero, ribaldo contro certi arroganti e mai domo anche contro forze soverchianti. I piascaranesi sfidarono l’esercito pontificio, e quando i papalini distrussero – come ritorsione – la Fontana di Piano, loro la ricostruirono e la ricostruirono ancora. Figuriamoci se dopo quelle antiche gesta sarebbe stato un problema giocare a pallone.

La squadra di oggi, che milita in Promozione

La squadra di oggi, che milita in Promozione

E infatti. Da sessantacinque anni il Pianoscarano dà battaglia su tutti i campi della regione. Al partire dal suo, il vecchio e polveroso Boccacci ora intitolato ad Oliviero Bruni, un altro papà buono del club, che se n’è andato qualche anno fa. Come Alberto Ciorba, che al calcio spesso preferiva il pugilato, ma che per il suo quartiere è stato tutto. Come tutti quelli che hanno giocato con la maglia rossoblu: quelli forti, i Goletti e i Conticchio e i Fimiani e i Bonucci, arrivati in serie A, e quelli che hanno smesso, ma possono dire orgogliosi di aver giocato “sul Pianoscarano”. Una stirpe, una tribù, una scuola di vita, che ha insegnato a tanti ragazzi il modo giusto di stare al mondo, anche negli anni bui della droga, anche con una casa popolare piena d’umidità. Le tribune in muratura, gelate d’inverno e bollenti d’estate, erano il bel rifugio di una comunità, del “paese dentro la città”, come dicono nel rione.

La tradizione oggi è affidata a Massimo Baggiani, che a   questa realtà dà l’anima, ventiquattro ore al giorno, 365 giorni all’anno. Organizza, allena, porta a cena i suoi ragazzi. Li ascolta, quando occorre. Li consola. E’ un altro figlio di questa palestra di vita, di questi valori accerchiati da un pallone cattivo e dal risultato a tutti i costi. Qui, nell’isola di pietra e di vino, da certe cose sono sempre rimasti lontani. Qui hanno spesso tenuto alta l’immagine di Viterbo quando colei che avrebbe dovuto per blasone – la Viterbese – collezionava fallimenti & impicci. Loro, i rossoblu del Pianoscarano, hanno sempre guardato i cugini con un pizzico di diffidenza e di sospetto. Come dire: noi ci sporchiamo le maglie, ma non la coscienza. E’ anche per questa ragione che il premio di giovedì se lo meritano. Con tutto il cuore, in vista della prossima battaglia.

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