La rivincita della porchetta. Netta, definitiva, categorica. E commovente. Perché dopo anni di denigrazioni e risatine, paraculaggini da piccoli snob da provincia profonda e gretta, oggi quella carne deliziosa e profumata può gridare al mondo il suo successo. E coi numeri, le centinaia e centinaia di persone arrivate tra sabato e domenica in piazza dei Caduti, al Sacrario per assaggiare otto tipi di porchetta da otto diversi produttori della Tuscia nell’evento organizzato da Urban tribute.
La rivincita della porchetta eccola qui, sbattuta in faccia a tutti quelli che usavano la porchetta, e la festa della p., come termine di paragone – naturalmente negativo, naturalmente da un punto di vista radical chic – nei confronti di altri eventi. “Sembra di stare alla festa della porchetta”, “Scene da festa della porchetta”, “La cultura viterbese è la festa della p.”, e cose così. Ripetute per anni, ad noiam e ad minchiam.
E allora eccola, la festa della porchetta, dedicata a tutti quelli di cui sopra, anche se non lo meriterebbero affatto. Otto porchette diverse, dal capoluogo a Soriano, da Ischia a Canino e Castiglione in Teverina. Ricette diverse, chi ci mette più aglio (mortacci vostra) e chi più finocchietto, chi fa la coccia più croccante (mezzo punto in più, per principio) e chi abbonda coi fegatelli, chi usa la cara vecchia rosetta come panino, e chi stupisce con lo sfilatino. Ricette diverse, filosofie diverse, diversi modi di vivere la vita e di vedere il mondo: servirebbe l’opinione del sociologo, in merito, ma il sociologo è ancora alle prese con il caso carbonara (ci va la pancetta? O il guanciale? O il bacon?).
File interminabili davanti agli stand, mamme con passeggini, vip e nip che si mischiano, musica di sottofondo variegata, da Mango – cioè, Mango – a Michael Jackson passando per Vasco, che però, si sa, ha una rota per il gnocco fritto. Fila doppia per bere, birra è meglio ma il medico consiglia bianco un po’ mosso.
C’è chi va dal suo porchettaro di fiducia, foraggiato nel corso dei decenni da pacchi di banconote e trasmesso di padre in figlio, e chi invece va a caccia di sapori esotici, tra Castiglione e Ischia e Canino. Ah, il vecchio fascino dell’avventura, della porchetta di frontiera. Tavoli pieni, la sera scorre dolce, e magari sabato prossimo cambiamo e si va a mangiare il sushi.
Ieri hanno pure eletto la migliore porchetta, dopo passeggiata culturale (no, questa non ci voleva, ma mi dà un tono all’evento, signora mia). Chi ha vinto è relativo, hanno vinto tutti e ha vinto soprattutto lei, la deliziosa regina. Per il futuro, gli organizzatori vorrebbero ampliare l’evento, e fanno bene, ma prima un umilissimo consiglio: meglio cambiare nome. Da Festival della p. a Festa della p. Non bisogna aver paura di chiamare le cose per quello che sono, e non c’è niente da vergognarsi. In attesa del bis, buona digestione a tutti. Burp.