16112024Headline:

Di Schettino ne è bastato uno

Francesco Schettino

Francesco Schettino

Quot capita, tot sententiae (tante teste, altrettanti pareri) affermava il commediografo romano Terenzio circa 150 anni prima della nascita di Cristo. Dal che si deduce che già all’epoca si aveva la netta percezione di quanto fosse complicato mettere tutti d’accordo su un qualcosa da fare.

Dopo più di duemila anni non è che le cose siano granché cambiate. Guardate cosa sta accadendo al presidente del Consiglio Matteo Renzi, uno che ci prova ad andare a mille all’ora (ad esempio sulle riforme), ma si trova a dover combattere con le idee (diverse dalle sue) degli esponenti delle altre forze politiche (l’accordo con Berlusconi è, per sua stessa ammissione, un compromesso) e soprattutto dei membri del suo stesso partito (Vannino Chiti in testa). Il rischio, in circostanze come questa, è che si discuta, si discuta, si discuta. E alla fine tutto resti com’era prima e si continui ad andare avanti alla giornata, perché quella di mettere tutti (o quasi tutti) d’accordo spesso – soprattutto in Italia – è impresa impervia, se non impossibile.

L’ex sindaco di Firenze, nella sua caparbietà di voler fare le cose, ha più volte ribadito il concetto che in democrazia deve valere il principio secondo il quale, dopo ampia e approfondita discussione (si dice così, nevvero?) alla fine si arrivi al dunque. Si voti. E la linea dettata dalla maggioranza è quella che andrebbe seguita. Da tutti. Purtroppo, nonostante la “tigna” renziana, sulle riforme istituzionali non sta accadendo questo e solo il futuro ci dirà come andrà a finire. Ma una cosa è certa: purtroppo l’Italia è da tempo immemore ferma al palo perché questo principio non è stato mai applicato. Però, tra molti (troppi) politici ancora non ci si rende conto che questo è uno dei fattori che allontanano i cittadini dalla politica e dalle istituzioni, dando sempre più fiato al pericolosissimo populismo.

Tutta questa premessa era necessaria per stigmatizzare quanto avvenuto giovedì scorso in Provincia nel corso dell’assemblea dei sindaci sulla gestione idrica. Laddove, a fronte di una società (la Talete) che fa acqua da tutte le parti (in senso economico, ovviamente), ancora una volta c’è stato il nulla di fatto, in quanto non s’è raggiunta l’unanimità su un provvedimento che avrebbe dovuto mettere una pezza a un bilancio rosso come un bel pomodoro maturo. E la cosa ancor più grave è che la presidenza dell’Ato (rappresentata da Paolo Equitani prima e da Marcello Meroi poi) ha dichiarato apertamente che avrebbe dato parere favorevole al provvedimento solo in presenza dell’unanimità. Altrimenti avrebbe votato contro (come poi ha fatto).

Ora, a prescindere dal caso contingente (sulla questione Talete le responsabilità sono tante e variegate e i sindaci del territorio le loro colpe ce l’hanno e come. Ma di questo se n’è parlato a più riprese in passato), resta il fatto che con questa mentalità non si andrà mai da nessuna parte. Giacché, essendo l’unanimità un obiettivo difficilmente raggiungibile (qualche Pierino c’è sempre), il rischio è che alla fine non si faccia mai nulla perché non si vuole scontentare nessuno.

Tutta la storia della società Talete è l’immagine simbolica di questo modo di fare. Il problema è che – come narrava lo storico Tito Livio – dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur (mentre a Roma si discute, Sangunto viene espugnata). O, se volete, mentre i politici blaterano, la nave affonda.

Già. Ma in questo momento già di per sé complicato l’Italia e la Tuscia hanno bisogno di capitani coraggiosi. Di Schettino ne è bastato uno. E s’è visto che danni ha fatto.

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