È una questione di qualità, urlerebbe stridulo Giovanni Lindo Ferretti. Quella che poi sta sulle bocche di tutti e nei programmi di nessuno. Quel parametro che dovrebbe contraddistinguere il buono dal cattivo. Il finanziabile dal depennato. L’investimento dal contentino.
Nel giorno della ribellione, quando una combriccola di associazioni si è riunito per inveire contro la distribuzione dei fondi relativi al Settembre e al Natale viterbesi, si viene a sapere che proprio una delle tante (forse troppe) realtà culturali della città, a breve migrerà verso La Spezia. E non per le ferie. E nemmeno per andare a prendere presunti (o veri) accordi verbali con l’assessore di turno. Bensì per imparare agli altri come si fanno le cose. Con professionalità. Con spirito logistico. E soprattutto con modus operandi. Altro criterio assai lontano dal panorama che si mira salendo sulla Palanzana.
Il Tuscia in jazz prende il volo (o il treno). La banda Leali avrà sulle spalle il peso del festival internazionale più importante (per storia e contenuti) dello Stivale. In Liguria si è deciso di voltare pagina. Di intraprendere un cammino mirato al rinnovo. Al futuro. Si progetta una manifestazione di respiro. E non perché ci saranno cori alpini. Ma piuttosto perché occorre mettere un freno, se non ripartire del tutto, dopo qualche edizione che mira pericolosamente verso il declino e la remissione. Così il sindaco (un Michelini di lassù), il tipo che si occupa di questa roba, gli sponsor, gli appassionati, e praticamente il villaggio al completo, si sono guardati intorno. A chi si possono consegnare chiavi e spartiti (nonché la direzione artistica)? Si saranno chiesti. A Italo da Ronciò, chiaramente. E ai suoi fedelissimi adepti. Quelli che, chiusa la prima tornata made in Viterbo, hanno pensato bene di indire una pubblica conferenza per mostrare a quanti interessati numeri (reali) e bilanci. Alla faccia della prassi. Delle vecchie abitudini calcificate. Del brontolio continuo mirato solo ad ottenere quattro spicci. Poi nessuno ha replicato, ovviamente. Che non si sa mai (sempre per citare Ferretti).
A proposito, il Tuscia spring ha portato oltre cinquemila persone. Ha riempito tutte le strutture ricettive. Ha rispolverato ogni angolo dimenticato da dio. E ha ottenuto appena un paio di mila euro. Poco più della gara di bocce o del saggio di danza. Senza protestare. Manco un lamento. E ventiquattro ore dopo aver fornito i dati il gruppo di lavoro s’è rimesso a lavorare (altrimenti sarebbe un gruppo di protesta). A capoccia bassa. Perché La Spezia stava vicina. Dal 5 al 20 luglio, un fottìo di date. E perché il 23 dello stesso mese si ritorna a casa per il Summer. Con le puntate raminghe estive (chicche assolute) sparse per mezza provincia.
E nel frattempo qui? Qui tutto è fermo. “C’è da rivedere ogni cosa”, ha detto qualche giorno addietro l’operatore Umberto Cinalli, proprio sul Post. Manca ancora l’albo, il registro. I finanziamenti cadono a pioggia e non seminano nulla. Si litiga per mezzo tozzo di pane. Ma della qualità nessuno parla.