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La nostra Liberazione: settanta anni fa

La basilica di San Francesco completamente distrutta

La basilica di San Francesco completamente distrutta

Accadde di venerdì. Con la città svuotata dai tremendi bombardamenti di maggio, segno che la guerra guerreggiata si stava avvicinando. Gli Alleati erano andati di corsa, dopo Roma, risalendo la Cassia, ed i primi ad ammetterlo erano gli stessi soldati della Wehrmacht: “Italiani, guerra per voi finita”, dicevano a bassa voce, con la paura negli occhi e lo sguardo lontano, verso nord, verso casa.

Quella mattina del 9 giugno 1994 fu il motore di una jeep a squarciare il silenzio dell’antica città distrutta. Si fermò davanti alla Prefettura, in piazza del Plebiscito, e ne scesero due uomini in divisa. Un capitano inglese di Scotland Yard, John Kane, e un sergente italoamericano, Anthony Lancione, detto Tony: toccò a loro l’onore di entrare nella storia come primi liberatori di Viterbo. Loro presero possesso del palazzo, in nome del Governo alleato (Amgot,  Allied military government of occupied territories). “Viterbo è stata conquistata dalla prima divisione corazzata americana senza sparare un colpo”, raccontò il bollettino di guerra del giorno dopo, 10 giugno. Due righe secche, mentre gli occhi del mondo erano concentrati altrove, su quel fazzoletto di sabbia tra il mare e la terra, in Normandia, dove altri soldati alleati, molto più numerosi, stavano cercando di avanzare, morto dopo morto, destinazione finale Berlino.

Macerie a porta Romana

Macerie a porta Romana

Dopo le avanguardie, in città cominciò ad affluire la truppa. Quella quinta armata del generale Clark che aveva già vinto tante battaglie (il primo esercito nella storia ad aver conquistato Roma, la città eterna, da sud) e tante altre ne vinse in seguito, risalendo e liberando la Penisola fino alla vittoria finale. Erano impolverati e stanchi, “sembravano tedeschi ma non parlavano tedesco”. Già, perché i tedeschi se n’erano andati da Viterbo durante la notte, come scappano gli sconfitti quando capiscono di essere stati battuti. L’idea disperata di tracciare e mantenere una linea di difesa a nord di Roma (da Civitavecchia a Terni, con Viterbo caposaldo cruciale), era naufragata sotto le bombe delle Fortezze Volanti, sotto i proiettili dell’artiglieria da campagna americana e inglese, sotto la furia degli impavidi neozelandesi e degli orgogliosi francesi, e degli australiani e dei nordafricani. Meglio ritirarsi ancora, disturbando laddove possibile – si combatté sulla Cassia, verso Montefiascone – e distruggendo tutto ciò che c’era da distruggere.

Insieme ai liberatori, quella mattina, camminavano anche i viterbesi. Quei viterbesi che nel mese precedente erano stati costretti a lasciare la città, a rifugiarsi nei boschi e nelle grotte per evitare i bombardamenti quotidiani, e tremendi. Uscirono di soppiatto, i nostri nonni, perché in guerra non ci si può fidare di nessuno, tanto più se quelli che oggi dicono “paesà” e offrono sigarette e cioccolate, sono gli stessi che fino a pochi giorni prima avevano distrutto porta Romana e le Fortezze, la chiesa di San Francesco e seicento abitazioni civili, e l’ospedale, gli uffici, le caserme, persino le fogne.

Piazza San Lorenzo

Piazza San Lorenzo

Ma la diffidenza durò poco. I viterbesi capirono presto che questi nuovi soldati non erano occupanti, ma liberatori. Distribuivano vettovaglie e pacche sulle spalle, e i loro capi prendevano decisioni sagge: come il colonnello Bonham Carter, governatore inglese della città, che s’impegnò in prima persona per cacciare la truppaglia marocchina dalla zona, evitando a tante donne e uomini quelle spaventose angherie subite per esempio dai ciociari e dai pontini. Lo stesso governatore impedì vendette e ritorsioni tra fratelli concittadini, come invece avvenne altrove. Allora si poté cominciare l’immane opera di ricostruzione, e il 31 marzo dell’anno successivo l’amministrazione alleata levò le tende, riconsegnando Viterbo ai viterbesi e dirigendosi verso Pavia, dove dopo la liberazione avrebbe ricominciato lo stesso processo di normalizzazione.

Scrisse il grande Sandro Vismara, giornalista e testimone oculare di quei fatti: “Nessuno sapeva come sarebbe avvenuto il passaggio da un campo all’altro, ma nessuno lo immaginava così semplice come avvenne nella realtà”. Sì, il 9 giugno 1944 Viterbo era stata liberata. Domani sono settant’anni.

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1 Commento

  1. Luigi Tozzi ha detto:

    I primi ad arrivare a Viterbo furono le truppe senegalesi

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