Dal Comitato provinciale Anpi riceviamo e pubblichiamo:
Né il Comune né la Provincia hanno fissato iniziative istituzionali per celebrare una ricorrenza fondamentale per il nostro territorio, che quest’anno cade a cifra tonda: il 70° anniversario della Liberazione di Viterbo.
La mattina del 9 giugno 1944 facevano ingresso a Viterbo gli alleati su truppe motorizzate. Ad accogliergli, un’avanguardia di partigiani viterbesi che gli si faceva incontro sulla Cassia agitando dei fazzoletti rossi. Libero Boni dirà a Quirino Galli: “Ho preso uno straccio rosso, ci ho fatto sopra falce e martello e glie semo andati incontro. Certo quando l’hanno vista non è che…”. Gli angloamericani, comunque, in una Viterbo pur completamente imbandita di striscioni inneggianti l’Unione sovietica e l’Armata rossa, non si perdevano d’animo e, nel pomeriggio, il capitano John Kane e il sergente Tony Lancione, a bordo di una Jeep, si recavano in piazza del Comune a prendere possesso della Prefettura. Era la fine delle ostilità belliche per la Provincia. Alessandro Vismara avrà a scrivere: “Il ciclone era passato e, anche se la morte era ancora nell’aria e sotto i muri crollati, la vita tornava lentamente a fiorire”
Gli ultimi giorni erano stati effettivamente terribili, in particolare per la recrudescenza dei bombardamenti aerei alleati, accanitisi, oltre le esigenze belliche, su una popolazione già stremata da privazioni d’ogni tipo. Ai bombardamenti si andavano ad aggiungere gli atroci delitti commessi dall’esercito tedesco in ritirata. Su tutti, la strage perpetrata tra Vignanello e campagne limitrofe, tra il 6 e l’8 giugno, con oltre quaranta caduti inermi (nei numeri la seconda strage nazifascista del Lazio dopo le Ardeatine) per cause mai del tutto chiarite, ancor oggi. Con ogni probabilità una rappresaglia, ingiustificata e inumana, a seguito dell’uccisione, forse per vendetta, di soldati tedeschi i cui cadaveri erano stati, però, lasciati sulla strada, visibili agli altri commilitoni in ritirata. A questi delitti si debbono sommare l’uccisione, a Soriano nel Cimino, di Giuliano Pandimiglio (7 giugno), e di tre persone al passaggio a livello di porta Fiorentina in Viterbo, il giorno dopo: Giacomo Pollastrelli, Oreste Telli e una donna rimasta sconosciuta. All’11 giungo è da far risalire l’esecuzione, dopo sevizie e percosse, di Anatolio e Amelio Del Medico, padre e figlio, per rappresaglia a seguito d’un agguato subito a Civitella d’Agliano, di cui i due innocenti erano estranei.
Veniamo quindi ai partigiani, di cui la nostra Associazione tramanda la memoria. Nelle ricostruzioni grossolane dei nove mesi d’occupazione nazifascista del Viterbese ne vengono spesso ridimensionati il portato e la reale efficacia, decretando così l’ininfluenza ai fini della Liberazione. Trattasi di semplicionerie di chi ignora un’attività invece feconda sia militarmente sia politicamente. In tutta la Tuscia, a fare da retroterra, un Antifascismo tenace, perlopiù popolare, mai definitivamente arresosi per tutto il Ventennio, tra repressione, percosse, sevizie, ammonizioni, diffide, carcere, confino e esilio. Una Resistenza, la nostra, iniziata a Monterosi, con un gesto eroico, quando il giovanissimo tenente Ettore Rosso, la mattina del 9 settembre 1943, dinanzi ai tedeschi intenti a forzare il posto di blocco per occupare Roma, faceva brillare il sistema di mine uccidendo tredici motociclisti della Wermacht. Nell’azione moriva anche lui, circostanza che non permetterà rappresaglie. Da quei frangenti s’iniziavano a formare, in modo spesso spontaneo e con organigrammi non sempre definiti, i gruppi partigiani. Su iniziativa magari di antifascisti storici, con la confluenza di militari sbandati, italiani e alleati fuggiti dai campi di prigionia, e civili sfollati, con la retrovia delle popolazioni contadine e gli orientamenti politici più disparati. Un attivismo febbrile consistente in una guerriglia fatta di scontri a fuoco con i nazifascisti, di abbattimenti di veicoli e aeromobili, di sabotaggi di cavi elettrici, telefonici e segnaletica stradale, di spargimento degli, efficacissimi, chiodi a tre punte, di protezione di ricercati e soldati alleati, di sottrazione di beni e derrate da distribuire alla popolazione e, infine, di diffusione della stampa clandestina.
A livello organizzativo, per grandi linee, le bande dell’Alto Lazio vicine al Comitato di liberazione nazionale (Cln) erano coordinate dal Raggruppamento Monte Soratte, con a capo il medico, e atleta, Manlio Gelsomini, trucidato poi alle Ardeatine, Medaglia d’oro. Ogni centro vide formarsi un focolaio resistenziale; Bande partigiane si ebbero quindi su tutto il territorio della Provincia. Ricordiamo, tra queste, la Banda Ferdinando Biferali, legata alle Brigate Garibaldi, e operativa a Viterbo e dintorni. Sempre qui cospirava e colpiva la Banda Buratti, già Banda dei Cimini, i monti in cui era attiva, che prenderà il nome del fondatore, il professore, azionista, Mariano Buratti, dopo la fucilazione di questi, avvenuta il 31 gennaio 1944 a forte Bravetta, Medaglia d’oro. In questa banda confluiva anche il gruppo Italia indipendente, formato da coraggiosi adolescenti che dall’inizio della Guerra avevano tempestato di ciclostilati clandestini il centro di Viterbo, senza essere mai beccati.
Tra il Grossetano e il circondario del Lago di Bolsena era attiva la Banda Sante Arancio. Ne faceva parte anche il montefiasconese Delio Ricci, impiccato a Campigliola di Manciano, Medaglia d’oro. Per quanto riguarda la zona nordorientale del Viterbese, va citata la banda Bartolomeo Colleoni, operante nell’Area teverina. Vi militava Alberto Cozzi, anch’egli finito nel carnaio delle Ardeatine, Medaglia d’oro. Fuori dal Cln si muovevano quelle realtà partigiane che si rifiutavano di collaborare con la Corona e i partiti conservatori. È il caso del Movimento comunista d’Italia – Bandiera rossa, la prima formazione resistenziale del Lazio, assai radicata anche nel Viterbese. Gli anarchici, invece, trovarono spesso ospitalità nelle formazioni azioniste di Giustizia e libertà, come il giovane Luciano Maffucci, trucidato a Corchiano il 2 marzo 1944.
Tra le tante figure del Viterbese che operarono altrove, va innanzitutto citato Paolo Braccini, azionista, originario di Canepina, professore di Zootecnia a Torino, ove sarà fucilato il 5 aprile 1944, medaglia d‘oro. A ricevere la stessa onorificenza sarà il viterbese Angelo Ioppi, sottufficiale dell’Arma a Roma, entrato nella Banda dei Reali Carabinieri Filippo Caruso, tradito da una spia è tradotto nel Carcere di via Tasso ove sarà sottoposto ad inenarrabili torture. Con gli Alleati alle porte di Roma, i tedeschi pensavano di portare i prigionieri al nord per sfruttarne il lavoro. Da via Tasso dovevano perciò partire due camion. Uno si fermava a La Storta, per un guasto, e i quattordici prigionieri, tra cui Bruno Buozzi, venivano fatti scendere e uccisi sul posto; l’altro camion, con Ioppi a bordo, non riusciva invece proprio a partire, ma Roma era ormai liberata. Il Carabiniere, Medaglia d’oro anch’egli, ricostruirà immediatamente le sue terribili vicende nella pubblicazione Io non ho parlato.
C’è stato, infine, anche il contributo dei nostri partigiani all’estero, in particolare nei Balcani. Tra questi bisogna ricordare Mario Patrizi di Vitorchiano, anche lui Carabiniere, Caduto in Jugoslavia, Medaglia d’argento. Sempre in Jugoslavia ha combattuto l’attuale Presidente onorario del nostro Comitato provinciale Anpi, Nello Marignoli, oggi novantunenne. Per l’esemplarità e lo spessore della sua figura, abbiamo fatto istanza al Comune di Viterbo perché gli conferisse un attestato di Benemerenza civica. Volevamo che il 70° della nostra Liberazione, nonché della nascita dell’Anpi, divenisse momento per la consegna. Abbiamo ricevuto parere favorevole dagli amministratori ma finora non si è fatto nulla e l‘occasione è saltata.
Chiudiamo, quindi, con queste parole pronunciate dal Generale Harold Alexander: “La lotta dei patrioti contro il nemico a Nord di Viterbo è stata di aiuto diretto all’avanzata alleata. Un giorno il mondo conoscerà il vostro sacrificio e il vostro eroismo e, completamente libera, l’Italia ve ne sarà grata”.
Il presidente dell’Anpi provinciale
Silvio Antonini