L’incomincio è vagamente invidioso, perché verrebbe da dire: “Beato lui”. E però alla fine prevale un senso di rassegnazione quasi francescano, e la considerazione diventa: buon divertimento, e tifo a manetta. Perché oltre all’inarrivabile Leonardo Bonucci – che però in fondo sarà lì per lavorare – la nobile città di Viterbo sarà rappresentata ai campionati del mondo di calcio, che partono giovedì prossimo in Brasile, da Luciano Bernini. E sarà un ambasciatore di prestigio.
Perché Bernini – come Leo figlio di Piascarano -, è pure uomo di calcio, ex giocatore e dirigente e pure, a cavallo tra i Novanta e il Duemila, delegato allo Sport per il Comune. Ma non è solo questo: si dà il caso che oggi Luciano viva in Brasile, da quattro anni per questioni di business è a Salvador, capitale dello stato di Bahia. Quella perla nera a metà del paese sudamericano, dove una volta arrivavano gli schiavi dall’Africa e dove adesso scendono gli italiani a caccia di spiagge e cachaça e forse anche di qualcos’altro, al netto dei luoghi comuni. Una città mondiale, tra l’altro, visto che a Salvador – nella nuovissima Arena Fonte Nova si giocheranno sei partite: quattro della fase a gironi (tanto per capirci: si comincia venerdì 13 giugno con Spagna-Olanda, replay della finale in Sudafrica), un ottavo e un quarto di finale.
Tutta questa premessa è doverosa prima di parlare col nostro. Che è di ritorno oltreoceano dopo qualche giorno trascorso nella sua Viterbo e prima di tuffarsi nell’avventura iridata. “Non so se andrò all’esordio a Manaus, per la gara con l’Inghilterra: la capitale dell’Amazzonia è troppo lontana, parliamo di oltre tremila chilometri, i biglietti sono già finiti o sono troppo cari. Invece, ho già i tagliandi per Italia – Costarica del 20 giugno a Recife, distante da Salvador un migliaio di chilometri, che tra l’altro ho già percorso l’anno scorso per andare a vedere sempre gli azzurri in Confederation cup. E ho anche quelli per la sfida del 24 a Natal, contro l’Uruguay”. Una partita che deciderà probabilmente le sorti della spedizione italiana: qualificazione alla fase ad eliminazione diretta, oppure triste ritorno a casa, con lancio di pomodori in programma già sulla pista di Fiumicino.
“Per quanto mi riguarda, sono fiducioso – dice Bernini – E lo dico con cognizione di causa, visto che la settimana scorsa sono stato ospite a Coverciano, a pranzo pure coi ragazzi: li ho trovati uniti, motivati, davvero un bel gruppo. Per questo metto l’Italia tra le favorite insieme a Spagna, Germania e Argentina, e dietro naturalmente il Brasile, che secondo me è la squadra che vincerà il Mondiale”. Ma su questo torneremo tra un po’.
Ma come vanno le cose laggiù, alla vigilia della cerimonia di apertura? Sui giornali si leggono tante cose: la delinquenza, le manifestazioni, gli stadi ancora incompleti, addirittura il rischio di beccarsi delle malattie (non quelle veneree, ma tropicali tipo dengue, malaria e febbre gialla). Bernini rassicura tutti: “Gli stadi sono uno spettacolo. Chi ha protestato lo ha fatto perché pensava che gli aumenti del costo della vita, dal latte allo zucchero ai biglietti del tram, dipendessero dai Mondiali. E invece gli impianti sono stati finanziati per la maggior parte dai soldi della Fifa. Questo, semmai, bisognava spiegarlo meglio ai brasiliani, onde evitare disordini. Disordini che comunque sono sempre avvenuti molto lontani dagli stadi: chi andrà a vedere la partita può stare tranquillo. Certo, la situazione nel Paese è sempre complicata: la crescita già c’è stata, con la conseguente bolla immobiliare che si è sgonfiata. Basti pensare che solo a Salvador ci sono 80mila appartamenti nuovi e invenduti…” Un’ottima dritta per quegli investitori stranieri, magari italiani, che hanno liquidi da spendere e che un domani potrebbero ritrovarsi un tesoro (di casa) da rivendere o affittare.
Ma torniamo al calcio, con una domanda legittima: vuoi vedere che zitto zitto, il Bernini ha passato il confine anche del tifo, e che sogna una vittoria del Brasile? Sarebbe notizia clamorosa, ohibò. “Sono spaccato: metà e metà – risponde lui, con diplomazia – Perché sin da piccolo ho avuto dentro questo mito per il Brasile, e adesso per giunta vivo anche lì. Però l’Italia è il mio Paese, anche se io Destro e Rossi li avrei convocati. E allora sospendo il giudizio: diciamo che tiferò per un gol del nostro Leonardo Bonucci”. Ma c’è un indizio che rimette in discussione la “dichiarazione di tifo” di Luciano: le sue valige pronte all’imbarco sono piene di sciarpe, bandiere e cappellini tricolori, da portare laggiù, ai tanti italiani do Brasil. Un’operazione benemerita, e chissà che non porti fortuna.