Cosa fa il buon padre di famiglia quando vede che non riesce ad arrivare alla fine del mese? Taglia le spese che non considera prioritarie. Così, mentre sa benissimo che dovrà continuare a comperare pane e latte, magari decide di rinunciare a un paio di scarpe nuove o all’ultimo modello di smartphone che pure gli piacerebbe tanto acquistare. Un principio sacrosanto, sul quale è difficile non essere d’accordo, che palazzo dei Priori ha deciso di adottare sui finanziamenti alle associazioni culturali (mettendo in pratica una dolorosa spendig review) e che ha scatenato anche una vibrante quanto ridicola protesta.
Questa è solo la prima di una serie di riflessioni da fare su un fenomeno che non va certo sottovalutato, ma che sicuramente va visto in un’ottica molto diversa da quella applicata fino a ieri, nella quale (ha perfettamente ragione l’assessore Tonino Delli Iaconi) il Comune è stato visto un po’ come un Bancomat dove attingere per le iniziative più svariate, sicuramente tutte utili, ma nessuna indispensabile.
E allora, mettendo da parte i toni polemici, proviamo a fare un ragionamento di buon senso per cercare di dipanare quella matassa che sembra tanto intricata, ma che in realtà non lo è.
Prima considerazione: il Comune, in quanto ente istituzionale, ha il dovere di promuovere la cultura. Ma ha pure il compito di privilegiare quelle iniziative che siano utili alla città, che abbiano un ritorno in termini di immagine ed economici, soprattutto in un periodo di crisi come quello attuale. Poi, se ci avanza, va bene anche il resto (ovvero, la sottocultura). Ma la politica è fatta di scelte e un’amministrazione che non sceglie (quindi che dà un po’ a tutti solo per accontentarli) è una pessima amministrazione che non fa certo gli interessi della comunità.
Seconda considerazione: chi decide di dar vita a un’associazione culturale lo fa (o meglio, dovrebbe farlo) per soddisfare un proprio bisogno peculiare che vuole condividere ed estendere ad altri. L’associazione è e deve essere un hobby, per il quale vanno sicuramente ricercate le risorse, ma non certo esclusivamente nel pubblico. Esiste l’autotassazione, esistono gli sponsor privati, esistono le iniziative a pagamento. Esiste tutto ciò che gira intorno a un volontariato (e, sottolineo, volontariato) culturale che deve trovare al suo interno le forme di sostentamento. Poi, se arriva qualcos’altro anche dall’ente pubblico, ben venga. Ma non si può e non si deve fare affidamento solo su quello. Altrimenti, che volontariato è?
Terza considerazione. Diverso è il discorso se l’associazione decide di fare ciò che fa in maniera professionale (o meglio, per mestiere), giacché ci deve pure campare. Allora non c’è altro che il mercato: la qualità premia, la mediocrità punisce. E’ una legge che vale per tutto ciò che è e che fa economia. In caso contrario si cade nel mero e mai tanto biasimato assistenzialismo. Ergo – cosa molto importante – il giudizio di merito non può essere autoreferenziale (ma troppo spesso lo è), ma deve essere dato dalla risposta (in genere di pubblico e di critica) che l’evento è in grado di generare. Personalmente, nel corso di questi anni, mi è capitato più di una volta di assistere a iniziative (niente nomi, per carità di patria) con un pubblico di venti, al massimo trenta persone. Quelli sono stati soldi gettati alle ortiche.
Quarta considerazione: un’associazione che beneficia di elargizioni pubbliche avrebbe anche il dovere della trasparenza. Ovverosia di rendere noti i propri bilanci per mostrare a tutti come ha speso i soldi ricevuti. In tutti questi anni, mi è capitato di assistere a una sola conferenza stampa in cui ciò è stato fatto: quella di Italo Leali che, al termine del Tuscia in jazz festival tenutosi a Viterbo nel mese di aprile, ha rendicontato numeri e numeretti.
Quinta ed ultima considerazione: le associazioni che hanno inscenato la protesta forse un unico punto a loro favore ce l’hanno. Quello di aver trattato con un assessore che forse ha promesso troppo (per ingenuità? Per superficialità? Per incapacità? Ah, saperlo) senza far adeguatamente di conto. Ma, come dicevano i saggi latini “verba volant, scripta manent”. Un motto da tenere sempre presente. In tutte le circostanze della vita.
Comunque, senza entrare nel merito delle scelte, sarebbe ora che i finanziamenti pubblici iniziassero a darli prima e non dopo lo svolgimento delle attività finanziate. Le attività, di qualunque tipo, non possono indebitarsi senza la certezza dei tempi di rimborso.Se il comune decide di finanziare un progetto, cacci subito fuori i soldi, accordi verbali non esistono con gli enti pubblici.
un articolo che parte da presupposti sbagliati – l’idea di “sottocultura” è leggermente diversa da quella che ha in mente il signor sassi – e arriva a conclusioni a dir poco risibili…
senza contare il cattivo gusto della didascalia alla foto che – per chi frequenta, e non sono pochi, caro sassi – ritrae una delle ininziative viterbesi più belle e interessanti, ossia quelle della biblioteca curata da pelliccia…
meno caffè, sassi, e più lucidità se si vuole fare il giornalista…
se poi vogliamo fare il difensore dei forti, allora apra un blog
Risposta a Piff: e questo cos’è?
sembra più una testata giornalistica che un blog, o per lo meno a quello vorrebbe tendere…
e per “apra un blog” si intendeva “se vuole fare chiacchiere da bar, vada al bar” di cui il blog è l’evidente equivalente moderno…
il discorso su riportato, comunque, è di una tristezza e di una povertà tali che sembrerebbe non si sia capito bene il nocciolo della questione… oppure che si sia in malafede, ma a quest’ultima opportunità non voglio neanche pensare…
Caro Piff, due sole cose. La prima: intanto abbia il coraggio di uscire allo scoperto e di non celarsi dietro uno pseudonimo (io questo lo faccio da decenni). La seconda: impari a rispettare idee che lei non condivide. Saluti.