E’ la centrale dei sogni perduti. E’ la centrale dei soldi perduti. Sta lì, alla fine della pianura e a due passi dal mare. In certi giorni limpidi d’inverno si vede da decine e decine di chilometri, la si riconosce (“siamo arrivati”) dall’aereo prima di atterrare a Fiumicino. La centrale Enel di Montalto adesso è ferma: da due anni non produce quello che avrebbe dovuto produrre: energia. Ci sono dei lavoratori da tutelare, e per questo ieri si è tenuta una riunione col presidente della Provincia Meroi, il consigliere regionale Panunzi, il sindaco Caci, i rappresentanti di Enel e dei sindacati. Si parla dell’apertura di un tavolo al ministero, si cercano strade per salvare il salvabile. Sperare è lecito.
Come è lecito domandarsi come sia stato possibile questo fallimento. Più sono grandi, più fragorosamente cadono. Lo dicono gli inglesi, e chissà se vale anche per i progetti faraonici di quell’Italia che, nella seconda metà degli anni Settanta, giocava ad essere una superpotenza. Le centrali nucleari, certo: la struttura composta più complicata inventata dall’uomo. Complicata da progettare, complicata da costruire, complicata da gestire e infine complicata da spiegare alla gente. E in effetti, all’epoca, qualcuno si prese la briga di provarci.
Il Pci, in particolare, con una imponente campagna d’informazione e sensibilizzazione, un’operazione politica e culturale, ispiratore il presidente della Provincia di allora, Ugo Sposetti: incontri pubblici, grandi scienziati, i vertici dell’Enel e del Cnen (Comitato nazionale energia nucleare, antesignano dell’attuale Enea) del Governo (il ministro Vito Maria Pandolfi), dibattiti partiti da una sala parrocchiale e approdati nel centro informazioni della centrale. Montalto si trovò nel bel mezzo dello scontro tra i favorevoli e i contrari all’atomo, con tutti i rischi demagogici del caso. Eppure, a quei tempi anche gli ambientalisti erano persone per bene, dal principe Nicola Caracciolo al verde Gianni Mattioli. Quelli che non si erano convinti, non misero bombe: al limite, facevano paura ai ragazzini viterbesi con scenari apocalittici della serie “se scoppia Montalto la nube arriva a Viterbo in appena sette minuti”.
Risolta più o meno la questione, quel pezzo di Maremma si scoprì ricca. C’erano gli operai arrivai dalle grandi aziende di mezza Italia. C’erano le nuove case dell’Enel. C’erano – e ci sono ancora, tutto sommato – le mostruose cifre versate al Comune sotto forma di tasse, tipo l’Ici. Il bilancio di quel piccolo paese faceva concorrenza a quello delle metropoli: e giù, fondi a cascata per qualsiasi iniziativa, con l’Enel che invece deliziava i villeggianti – a Montalto c’è anche il mare, e le seconde case – coi concerti gratuiti di Battiato e De Gregori.
Lo stesso, dopo che il referendum sul nucleare, nel 1987, obbligò alla riconversione del mostro da 7mila miliardi di lire in un altro mostro senz’atomo, da altri 7 mila miliardi: la centrale a policombustibile. Che ancora nel 2010 bruciava olio e gas naturale ben al di sotto delle sue potenzialità e che da due anni è praticamente ferma. E con essa si è fermato il sogno di costruire – insieme a Civitavecchia – il primo polo energetico d’Italia e tra i primi d’Europa. L’indotto è crollato, e ora viene il passo successivo: il lavoro. Si parla di “riduzione di personale”, che è una locuzione bruttissima, e che da queste parti non avevano mai sentito. Ci sarebbe l’estrema risorsa di bruciare gas, ma il Governo ha già detto no e l’unica speranza per riaccendere i motori viene, pensa un po’, da zio Vladimir. Se Putin il prossimo inverno chiuderà i rubinetti all’Europa, chissà. Ma è troppo poco per pensare ad una resurrezione del Bengodi che fu.
E allora, se davvero mezza Italia s’azzuffa per demolire la Costa Concordia, viene naturale la provocazione: per rilanciare il sogno della centrale, perché non demolire la centrale stessa?
Ma per favore: non la mando proprio giù questa descrizione “simpatica” degli antinucleari come persone corrette, mentre in realtà hanno “intortato” milioni di persone dal basso della loro incompetenza facendoci rimettere centinaia di miliardi di € a favore delle fonti fossili (perchè le rinnovabili, e si sapeva, non potevano che dare un contributo relativo al fabbisogno di energia primaria nazionale).
Avrei anche da ridire sul costo: 7 mila miliardi? E perchè? Intanto va specificato bene che si tratta di LIRE e NON di € (altrimenti si fa la solita propaganda scorretta) e comunque forse è il caso anche di dire che un singolo reattore costava intorno ai mille miliardi di lire, e che di reattori lì ne andavano fatti 4, quindi quella cifra si riferisce ad almeno 4 unità e con costi già gonfiati… domanda: non è che quella cifra è quello che è stato speso (sperperato?) per la riconversione?