Addio Eccellenza, a mai più rivederci. E’ stata una botta e via, e neanche tanto coinvolgente. Addio Eccellenza, la Viterbese passa e saluta, nel giorno della festa dei lavoratori che, paradosso gustoso, impone alle uniche due categorie al mondo di fancazzisti – i calciatori e i giornalisti – di lavorare. Ma questo è molto meglio che lavorare: tre fischioni al Rieti, in casa loro, alle falde di un Terminillo che sembra il Monte Olimpo, avvolto dalle nubi, ma che alla fine si rivelerà persino più basso della Palanzana.
Addio, Eccellenza, in questo pomeriggio strano anche perché c’è qualcosa che manca allo stadio Manlio Scopigno. Mancano i tifosi ospiti, costretti a casa, dietro ai computer, o all’addiaccio in piazza Unità d’Italia, a ricevere informazioni a modulazione di frequenza. Trasferta chiusa, cuori aperti. E quando alla fine l’arbitro – non il gallo – canta tre volte, quelli in campo non si dimenticano degli assenti, e vanno a correre sotto la curva vuota di gente ma non di pensieri. E’ per voi, gente viterbese, dicono i gialloblu mentre si tengono per mano sul verde reatino: voi che non ci siete potuti essere, voi che avete sofferto tanto negli ultimi dieci anni, tra retrocessioni e fallimenti, birbaccioni e ladri di polli. Ma è anche per voi, famiglia Camilli, oggi assente per lutto (mercoledì è scomparso improvvisamente Silvio, il fratello del Comandante Piero), si spera presente da qui ai prossimi mille anni, per vincere insieme.
Rieti, oh Rieti. Ci arrivi con una superstrada dritta e scavata sotto le montagne. Viene il magone a fare confronti con la Trasversale nostra, mozzata come un invalido di guerra, perculata dai politici di ieri, oggi e domani. E lo stadio: grande, arioso, ettari di parcheggi, i tornelli (i tornelli), all’ingresso, l’odiato PalaSojourner, teatro di tanti derby cestistici, ad un tiro di schioppo. Ma il complesso d’inferiorità dura poco, non basterà neanche la sobrissima Maserati sfoggiata dal presidente sabino Fedeli, e un servizio d’ordine da Bilionaire. No, Fedeli non è Briatore, lui è già arrivato secondo – quando era presidente della Ternana – dietro alla Viterbese, e secondo sarà pure stasera, al novantunesimo. Nei secoli Fedeli.
Rieti, e i tifosi che dicono vaffanculo in cori ritmati da karaoke. Rieti, e l’arbitro signor Trischitta di Messina che non concede neanche il sacrosanto minuto di silenzio in ricordo del fratello Silvio. Rieti, e un inno che suona pure più brutto di quello gialloblu, se è possibile. Rieti, e la partita dell’anno.
Gregori si era preparato bene, manco fosse l’esame di Diritto privato. Un po’ di tattica, un po’ di pretattica (Cerone prima annunciato titolare e poi sbattuto in tribuna), le scelte più sensate: Boccolini in porta, la difesa tra l’incazzato (Cirina) e il saggio (Federici), un centrocampo da tritacarne e davanti i soliti fenomeni. Tipo Vegnaduzzo, che dopo due minuti sfrutta il recupero della gabbia mediana Faenzi – Marinelli, s’invola da centometrista – il campo d’atletica è a due passi, Rieti è la patria di ‘sta roba – e spara. Tiro, gol, e D’Urso che vacilla per lo spostamento d’aria. Uno a zero, ma guarda un po’.
I padroni di casa, già sotto di 6 punti alla vigilia, sono alla canna del gas, a meno nove e condannati al secondo posto, altro che Rudì Garsià. E allora ci provano, specie su corner e piazzati vari, ma non arrivano mai a far paura a questi leoni che oggi sembrano ligri, il mostruoso incrocio tra leone e tigre, grosso grosso ma che non si può riprodurre. La Viterbese invece si riproduce, e lo fa quando il Rieti perde la trebisonda e perde soprattutto Seba Gay, espulso. Il contropiede in finale di tempo farebbe smadonnare dalla gioia persino il compianto Nereo Rocco: e la conclusione di Polani è sontuosa, una leccata d’esterno con la palla che disegna un arcobaleno. Ho visto la luce: 2-0 e tutti negli spogliatoi dopo la rissetta d’ordinanza (espulsi entrambi gli allenatori).
La ripresa è la cosa più simile alla goduria dopo, nell’ordine A) Le varie pratiche sessuali conosciute B) Il sommo panino con la porchetta e Ceres ghiacciata in abbinamento. Quarantacinque minuti languidi, con la testa leggera e il cuore gonfio. Il Rieti che ha alzato bandiera bianca, la Viterbese che si trastulla in pezzi di repertorio (Pero Nullo su tutti), mister Gregori in tribuna che fuma e osserva, pure lui in estasi. La terza pera la firma Marinelli, che sfrutta l’errore di Ingiosi e scaraventa dentro il gol del trionfo. Entra anche Pacenza, a caccia di garretti avversari, ed è festa grande, dentro e fuori, sopra e sotto, qui in partibus infidelium come nella piccola patria cento chilometri più a occidente. E in serata, corteo di squadra e tifosi per le strade e le piazze, una festa che continuerà anche domenica, contro il Civitavecchia.
Dove stavamo un anno fa? Ma soprattutto: dove saremo tra un anno?