Allora funziona. Allora è vero che quando una manifestazione gira a dovere ne giovano un po’ tutti. Soldi spesi bene, quelli di San Pellegrino in fiore. Non si discute. Ok, a goderne (una volta tanto) sarà stato solo il centro storico e non l’intera città. Ma se è sacrosanto che da li occorre ripartire, che il Comune ci punta forte, che quella fetta di Viterbo è la più in difficoltà, ben vengano manifestazioni di questo tipo. Quelle che in sostanza, come poi fa Caffeina (tralasciando la patata bollente e infinita dei finanziamenti), portano lo struscio. Il passeggio. I turisti. E, tagliando corto, il preziosissimo denaro. Oggetto misterioso per quasi tutto il resto dell’anno.
Il bilancio del primo giorno in fiore si sintetizza nelle parole di alcuni commercianti. Pescati qua e la nel dì successivo (ieri), più moscio per via del venerdì non festivo e del solito guastafeste acquazzone. “Ho aperto alle 16 e ho finito tutto – il giro bagnato attacca da un bar e da un barman – a partire dalle bottigliette d’acqua per passare a birre, cornetti e gomme. Cosa aggiungere? Sono felice. Una volta tanto”. Lo sarebbe doppiamente, se avesse aperto alle nove e ordinato più roba. Ma nessuno è perfetto. “Oltre alla mole di coperti – la palla passa ad un ristoratore – mi ha colpito la provenienza. Una mosca bianca da queste parti. Tanti stranieri. Con capacità di spesa superiore alla nostra”. La botteguccia di panini e prodotti tipici conferma la tesi. “Mi sono andate via cose che di norma per venderle faccio fatica – ecco la confessione di un norcino appagato – Non che i viterbesi siano sofisticati e monotematici, ma è inevitabile che più gente passa, e più lontana possibile dalla nostra routine alimentare, più io posso spaziare negli ordini. E, non lo nego, anche negli incassi”. Non estremamente soddisfacente il semi superfluo. Laddove per indispensabile ormai (colpa della maledettissima crisi) si intende solo acqua, pane, zucchero e altre cose che son tornate di moda come ai tempi della guerra. “Qualche paio di scarpe e qualche magliettina in più son partite – parlano a braccetto due titolari di boutique – i tempi d’oro sono andati. Ma rispetto al solito questo è lusso. Almeno per noi. Altri colleghi si son lamentati”.
E fin qui si è parlato solo dei dati positivi. Spazio quindi alle lamentele. “Per trovare un bagno pubblico abbiamo girato due ore – turisti toscani e incazzati – una città sana senza cessi. È folle”. Quando si dice cultura dell’accoglienza. “Noi il nostro lo abbiamo dovuto lavare tre volte nel giro di poco tempo – replica del barista più scopettone – Capisco che son quasi tutti inagibili, storicamente. Ma qualche chimico non guasterebbe”. Anche perché quello del Sacrario ha incassato più di un pusher a Amasterdam.
E ancora. “Ma normalmente dove parcheggiate? – camperista sull’orlo di una crisi di nervi – saremmo anche disposti a pagare, se solo ci fossero zone adatte”. Di fianco: “Ho lasciato l’auto non so precisamente dove – questo è della zona, in virtù della parolaccia successiva – se becco la multa la prossima volta la piazzo al centro del giardino comunale con le quattro frecce”.
Tracciando una linea quindi, bene le manifestazioni di un certo tipo. Male il contorno. E turismo difficilmente non fa rima con strutture ricettive preesistenti. Orsù dunque, al lavoro.