Cronaca di una giornata tra le più nere del calcio italiano. Come la domenica di Paparelli, il giorno dell’Heysel, la coltellata a Vincenzo Spagnolo, il derby del bambino (non) morto, l’uccisione di Raciti e quella di Gabriele Sandri. Sabato all’Olimpico c’erano anche i viterbesi. Tifosi della Fiorentina, ma soprattutto i tifosi del Napoli, quelli dell’attivissimo club nato nel 2013, con oltre un’ottantina di iscritti del capoluogo e della provincia. C’erano anche loro allo stadio, a vedere la finale e a tifare civilmente per i colori azzurri, quei colori dei quali alla fine si tingerà la Coppa Italia. Ma qui parliamo di prima, di quel che è successo prima: gli scontri, l’agguato degli ultras romanisti ai napoletani, col ferimento grave – a colpi di pistola – di un ragazzo, Ciro Esposito. E ancora: i tafferugli al Foro Italico e poi dentro lo stadio, con la partita che è iniziata con tre quarti d’ora di ritardo, le presunte trattative tra (pseudo)tifosi, forze dell’ordine e rappresentanti dei club, i lanci di bomboni e torce, l’impressione diffusa che ancora una volta erano i delinquenti a vincere sullo Stato e sulla maggioranza civile delle persone.
Quelli del Napoli club Viterbo erano tra queste ultime, nella maggioranza di chi con la violenza non c’entra nulla. “Ma ciò che abbiamo visto si può definire soltanto in un modo: a Roma lo Stato non c’era. Completamente assente”, come dice duramente Pasquale Di Pierno, giovane presidente del club. Che racconta ciò che ha visto senza filtri, e con la sincerità del tifoso vero.
“Da Viterbo eravamo in venticinque. Noi, in particolare, ci siamo mossi con tre macchine, altri sono venuti per conto loro, perché avevamo dei biglietti diversi: noi di distinti nord (accanto alla Curva nord, quella che ospitava gli ultras più scatenati, tra cui l’ormai celebre Genny ‘a Carogna, ndr), altri di tribuna. Siamo arrivati a Saxa Rubra, il luogo di concentramento previsto per i tifosi napoletani, e qui abbiamo aspettato i pullman provenienti da Napoli e dal resto d’Italia. Ci hanno raggruppato e scortato allo stadio. Abbiamo trovato una sorpresa: Hugo Maradona, il fratello di Diego, che già conoscevo e che ha visto la partita con noi”. Hugo, ex giocatore dell’Ascoli, ha portato bene, perché il Napoli ha alzato la Coppa, come il Divino Diego ha portato “bene” giovedì scorso alla Juventus, sconfitta in casa dal Benfica. Superpoteri che solo i campioni possono vantare.
“Il nostro settore – prosegue Di Pierno – è stato relativamente tranquillo. Anche se già per entrarci abbiamo capito parecchie cose: polizia assente, steward assenti o impotenti, la disorganizzazione totale. Ad un certo punto qualcuno ha anche chiuso i cancelli, col risultato che per accedere allo stadio la gente faceva di tutto, scavalcava, spingeva. Alcuni nostri amici sono finiti addirittura tra i tifosi viola. Allucinante”.
Prima, a Tor di Quinto, c’era stata l’aggressione dei romanisti ad altri napoletani, e il ferimento a colpi di pistola di Ciro Esposito, 29 anni: “Allo stadio le prime notizie erano frammentarie – ricorda Di Pierno – Si diceva che fossero stati i veronesi o i sampdoriani, gemellati coi fiorentini. Poi chi è riuscito a prendere la linea col cellulare ha saputo qualcosa in più, anche se la curva voleva la garanzia che non ci fossero morti. Ecco perché il capitano Hamsik ha parlato con i capotifosi: voleva solo spiegare e tranquillizzare tutti”.
La curva, i duri e puri, decidono di non tifare. I distinti, e quelli del Napoli club, dicono di no: “Perché? Perché noi avevamo la coscienza a posto, non eravamo lì per fare incidenti, ma per tifare la squadra, e lo abbiamo fatto fino alla fine. Piuttosto, si parla tanto di Genny a‘ Carogna, ma mi domando perché era presente allo stadio quando invece è diffidato? Perché non lo hanno arrestato? E Ciro Esposito? E’ un bravo ragazzo che non c’entrava niente e che è in fin di vita, colpito da un proiettile da un tifoso della Roma che voleva uccidere. Si mandano allo sbaraglio gli steward, disarmati e che guadagnano trenta euro a partita, quando invece si dovrebbe contrastare i violenti con ben altri mezzi. Detto tutto ciò, la partita si doveva giocare. Sarebbe stato doveroso non giocare solo se fosse morto Ciro, per rispetto”.
Poi le immagini che tutto il mondo ha visto. I lanci di petardi, i fischi all’inno nazionale. “Mi sono vergognato. E come club ci siamo dissociati dai fatti di Roma già via Facebook. Mi vergogno anche di essere italiano, perché noi napoletani siamo trattati male da tutti, specie nel calcio: facciamo una cosa noi e ci massacrano, la fanno gli altri a noi e tutto passa in silenzio. Per Napoli – Juventus ci hanno aggredito in cinquanta – noi che siamo innocui e che avevamo anche due disabili – e ci hanno distrutto un pulmino all’autogrill di Fiano Romano. Perciò ai mondiali tiferò Argentina. Ma quello che è successo sabato mi ha fatto male anche da napoletano: per colpa di pochi si rovina l’immagine di un popolo”.
Magra consolazione: il Napoli insieme alla Juventus è l’unica squadra italiana che quest’anno ha alzato un trofeo: “Mi sono goduto la Coppa Italia – conclude Di Pierno – Su come la Juve abbia vinto il campionato, invece, ci sarebbero un sacco di cose da dire…”