Ma come eravamo riusciti a farne a meno fino ad oggi? Signori: vermi, cavallette, scorpioni, bruchi, scarafaggi e parenti vari, si mangiano. E per giunta son pure buoni. Sicuramente più della trota incartapecorita della nonna. Che dopo due ore di padella pare la Sacra sindone. Comunque. La riflessione non esce così a caso. Anzi, rappresenta la chiusura pratica di una conferenza fiume che si è tenuta ieri all’interno dell’università di casa. Con banchetto conclusivo a base di dolcetti al cioccolato con camole del miele (quelle da pesca) in omaggio.
Ma torniamo al punto (anzi, prima rimarchiamo che tutti hanno gradito). La cosa si chiamava “Insetti per l’alimentazione umana e animale”. Che detto così fa meno senso. E soprattutto apre ad una riflessione dagli spunti infiniti. Quelli su cui poi sta lavorando uno staff di studiosi di qua. A braccetto con la Fao, Slow Food, l’Associazione italiana scienza della sostenibilità e, per quanto riguarda l’aspetto finale (il culinario), la chef Laura Belli dei Giardini di Ararat. Una che quando c’è qualcosa di curioso da approfondire ci si butta di testa.
Due dati. Tanto per capire. Se continuiamo a nutrirci così nel 2050 ci serviranno cinque pianeti. Per papparci un chilo di carne occorre sciupare 15 mila litri d’acqua. Una bistecca, in termini di consumi, ce ne costa cinque. E, su tutto, la popolazione è in aumento. E numerico, e di esigenze.
Come se ne esce? Questo il quadro presentato dal padrone di casa, il prof Stefano Speranza (dato il cognome ci affidiamo a lui). Sul palco, a dibattere della faccenda, si sono alternati invece diversi cervelloni. Il più affascinante, vuoi forse per l’accento americano, è risultato Paul Vantomme. “Geniale l’idea italiana di dirigere l’agricoltura multifunzionale, quindi di pensare ad uno sviluppo sostenibile, verso il termine di retro-innovazione – chiarisce – che questa sia la strada sbagliata è sotto gli occhi di tutti. Occorre cambiare. Comprendo i blocchi psicologici del caso. Ma signori, gli insetti esistono da sempre e si mangiano da sempre. Lontano da qui, certo. Magari dove non si cibano di conigli, gamberi e via dicendo”.
E questo è un po’ il concetto base. Che in un’ottica globale va rivisto non solo su scala umana. Ma principalmente sugli animali. “Occupiamo la terra con allevamenti che servono solo a nutrire altre bestie – prosegue – metà dei cereali se ne vanno in mangimi. È folle. Se vi dicessi che una cavalletta ha più proteine di tre bistecche e se ne allevano migliaia in una micro scatola? Il risultato è che sono ottime per la salute, per il pianeta, e per l’economia. Si tratta d’una scelta compatibile”.
Come dargli torto? Anche perché a supportare la tesi ci stanno le slide apocalittiche (ma ineccepibili) della sopracitata Iass. Il parere dello stesso Speranza. Più quello di Paolo Danieli, che volge lo sguardo alla fauna ittica, all’acquacoltura, alla farina di pesce (identiche dinamiche delle vacche, piuttosto che dei maiali).
In sostanza. Il mondo sta implodendo. L’entomofogia fornisce una via d’uscita. Sta a noi imboccarla o meno. Laddove per imboccarla può voler dire anche ficcare-in-bocca creature fino a ieri impensabili da gustare. Bon apetit.