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La Viterbese e il dì di festa

Mister Gregori e lo staff tecnico giovedì sera per le vie della città

Mister Gregori e lo staff tecnico giovedì sera per le vie della città

Ore 16.30, stadio Enrico Rocchi, penultima giornata di un campionato che la Viterbese ha già fatto suo giovedì, in casa del nemico. Ore 16.30, arriva il Civitavecchia – che qui ancora chiamano, con un pizzico di snobismo, “La Civitavecchiese” – per un derby ad alto tasso di goduria. E’ la festa vera, soprattutto libera, senza il divieto che aveva impedito al popolo di seguire i leoni in quel di Rieti, un divieto che fa ancora male, perché suona come una discriminazione territoriale (sei viterbese, quindi non puoi entrare), oltretutto nel giorno più bello. Comunque, c’è stato modo di festeggiare dopo, al rientro della squadra, e ci sarà modo di festeggiare oggi. A lungo.

Già, perché da queste parti non è capitato spesso di salutare la vittoria del campionato. Alcune imprese affondano nel passato remoto: la prima serie C, all’inizio degli anni Settanta, quando in Italia si sparava, la televisione era ancora in bianco e nero, e i pischelli viterbesi mandavano a memoria quella formazione, come una filastrocca: Restani, Ciccozzi, Campani, i nostri Albertosi, Burgnich, Facchetti. E poi la seconda volta, con Persenda in panca e il viterbese Cuccuini in campo. Roba che si legge nei pochi – meritori – libri sull’argomento, o che oggi si può ripercorrere grazie alle gigantografie lungo il muro d’ingresso allo stadio, probabilmente l’unica cosa giusta fatta dalla dirigenza della vecchia Viterbese (a proposito: un caro saluto). E poi gli anni Ottanta, quelli che si ricordano grazie ai racconti dei più grandi. Il ritorno in Interregionale, con Manfra e Puccica e Francisco Lojacono in panchina. Fino a vent’anni fa, sotto la pioggia di Perugia, con quella foto che vale come tutta la storia: l’avvocato Tonino Ranucci che abbraccia forte mister Bagnato: la Viterbese torna in serie C2, in giro ci dev’essere ancora qualche vecchio adesivo (“Viterbese in C, io ho contribuito”, e va a capire cosa significava). E siamo al 1999, la trasferta di Sassuolo e, la certezza della C1 conquistata a suon di vittorie e di gaucciate.

La festa negli spogliatoi di Rieti

La festa negli spogliatoi di Rieti

Ah, quel giorno sembrava che il futuro fosse soltanto gialloblu, e invece no. Invece c’è stato qualche anno di illusioni, ad inseguire la serie B, e poi le fragorose cadute. Il fallimento di Cappucci. Il lodo Petrucci. Una ricostruzione abbozzata ma mai riuscita. L’onta della retrocessione tra i Dilettanti. L’anonimato. I debiti, soprattutto i debiti. Fino alla mancata iscrizione dell’estate scorsa (il secondo fallimento) e all’arrivo dei Camilli.

Ecco. Si è cominciato a vincere quel giorno, piena estate, in Comune ad aspettare la fumata bianca. Undici mesi nella nuova storia del calcio viterbese c’era già scritto vittoria. Nessun Rieti avrebbe impedito che accadesse il contrario. E chissenefrega se qualcuno, adesso, si permette persino di fare lo snob. Di dire che “tutto sommato” la Viterbese ha vinto “soltanto” l’Eccellenza. Tutto sommato un corno.

Oggi il Civitavecchia. Per vincere ancora, davanti ai tifosi e alla famiglia Camilli, assente a Rieti per lutto. Vincere per Fabio Fapperdue, il viterbese che è rimasto e che ha centrato le cento presenze con il leone sul petto. Vincere per quelli che hanno gufato fino alla fine. Vincere per il sindaco, che sarà in tribuna come era in tribuna nella maledetta Frascati, e che ha promesso di concedere la gestione dello stadio al club. Vincere oggi per vincere domani e dopodomani: una volta che si è iniziato, è impossibile smettere. O almeno, così racconta chi ci ha provato.

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