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Col tempo e co’ la paja se matura la sufaja

turisti (1)Non è vero che non ci siamo. Ci siamo, ma c’è ancora tanto da lavorare. Rispondo così a Massimiliano Forieri, titolare del negozio “Ejelo” in via Annio che lunedì scorso ha commentato l’articolo “non si possono vendere i frigo al polo Nord”, facendo una fotografia (reale, certo) dell’esistente e affermando che attualmente i negozi di prodotti tipici fanno tutt’altro che affari d’oro. Scrive Forieri: “Sono proprietario di un negozio che vende prodotti tipici. Lei dice che non ce ne sono abbastanza? Si sbaglia, se fossimo in quantità inferiore alla domanda saremmo ricchi. Invece no. La gente interessata all’acquisto del prodotto tipico alimentare fa parte di target ben definiti, non tutti i turisti si interessano all’enogastronomia”. E ancora: “Ci saranno pure troppi negozi di abbigliamento ed i commercianti viterbesi saranno ottusi e quello che volete, ma vi invito a considerare che in questi giorni i bar appena fuori dal percorso di San Pellegrino nemmeno si sono accorti della differenza con i giorni normali”.

Bene. Tutto giusto e tutto reale. Ma una spiegazione c’è e non è complicato darla. Giacché, in quanto a cultura del turismo e dell’accoglienza, Viterbo è – purtroppo – all’anno zero. E quello che abbiamo registrato nei giorni appena trascorsi (a proposito: lodi, lodi, lodi a Marco Ciorba e al suo Festival del volontariato, segnale evidente che se ci sono le idee, poi arriva anche il resto) è soltanto l’inizio di un percorso tutto da costruire, con la collaborazione di tutti: politici, imprenditori, cittadini.

Un percorso che ha due parole chiave: fare sistema e fare marketing. Per diventare qualcosa di unico, capace di attrarre l’attenzione delle persone in quanto città turistica (e Viterbo oggi ancora non lo è) sulla base delle sue peculiarità storiche, artistiche, culturali ed enogastronomiche. Insomma, a Viterbo oggi manca ancora l’etichetta da esportare “oltre le mura” (il sindaco Michelini non me ne voglia) per quel qualcosa che altri non hanno. Esempio banale: Siena è la città del Palio (che si svolge due volte l’anno), ma piazza del Campo brulica di turisti anche negli altri 363 giorni.

Viterbo può diventare la città della Macchina di Santa Rosa (ma allora andrebbe realizzato un vero museo delle Macchine), la città dove è nato il Conclave (ma allora palazzo dei Papi andrebbe strutturato alla bisogna), la città delle terme (sempre che i progetti in cantiere vadano in porto in tempi accettabili), la città delle arti (San Pellegrino in fiore, Tuscia in jazz, Caffeina e Tuscia film fest sono realtà già esistenti su cui poter lavorare). Insomma, una città d’arte e di cultura con un bel marchio da creare e da esportare (San Pellegrino in fiore ha dimostrato che il web è un’arma in grado di produrre ottimi risultati). Se si deciderà di proseguire su questo percorso con una vera unità d’intenti la città potrà trasformarsi. Ma servono idee chiare, programmazione e… investimenti, di cui si devono far carico soprattutto i privati.

In questi giorni di aprile e maggio gli alberghi del capoluogo hanno registrato il tutto esaurito. In una città già esclusa dai grandi tour per carenza di camere. E allora, la domanda viene spontanea: in un territorio dove si è sempre costruito a più non posso (dalle lottizzazioni più o meno ortodosse, ai piani integrati, alle famigerate “case rurali” con piscina) non sarebbe il caso di realizzare qualche hotel in più e di volgere lo sguardo a quel porto di Civitavecchia che sbarca migliaia di crocieristi a ogni stagione?

Viterbo è all’anno zero, ma può intraprendere un percorso virtuoso per cambiare verso. Magari cominciando anche dalle cose più semplici. Scrive ancora Forieri: “Mancano i parcheggi, la segnaletica turistica, i bagni pubblici, le indicazioni sui locali aperti (perché leggo sempre di gente che non trova i bar la domenica solo perché sono chiusi i più in vista. Segnaliamo quelli aperti, no?)”. Già, Forieri ha ragione: cominciamo da qui. Per tutto il resto vale la pena rifarsi a quell’adagio tutto viterbese che recita: “Col tempo e co’ la paja se matura la sufaja”.

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