Immaginatevi anche solo l’anno: 1977, il più buio della storia della Repubblica, i carri armati a Bologna, i morti ammazzati ovunque, i governi che duravano un battito d’ali. In questo anno dove i valori andavano in crisi, ecco un gruppo di ragazzi che, proprio su valori, vive una nuova esperienza. Amicizia, rispetto, passione per lo sport e per i colori della città, semplice voglia di stare insieme: così nascono i Boys, il primo gruppo ultras di Viterbo, nato al seguito del basket, prima dei maschietti della Garbini (che nel 1979 saranno promossi in serie B) e poi della nuova realtà che sarebbe emersa, la Sisv femminile, meravigliosa creatura destinata a portare la città dei papi ai vertici europei della categoria.
L’altra sera erano tutti qui, i ragazzi del ’77. Qui, al bar Golden, nel quartiere Cappuccini, la culla del movimento che approdò nella Tuscia proprio coi Boys, ad una decina d’anni di distanza dalle prime esperienze nazionali, nel calcio. Ma del resto, si sa che le novità a Viterbo arrivano sempre con un certo ritardo.
Ci sono tutti, dietro lo striscione giallo e blu, con quel teschio che negli anni Settanta era quasi normale, mica un vezzo da
metallari come oggi. Hanno i capelli bianchi, i figli al seguito, la pancetta d’ordinanza, lavori normali. Ma appena si rivedono, si riabbracciano, ascoltano le note in sottofondo dei Pink Floyd (che te lo dico a fare) è come spingere il tasto “rewind”. Si torna indietro, gente, a quella palestra della Verità che solo loro, ancora dietro lo striscione, riuscivano a trasformare in una piccola Salonicco, la nostra Salonicco. Quei ricordi di anni straordinari oggi sono finiti in un libro, che poi è la ragione della rimpatriata che aveva avuto un antipasto già un mese fa, con una cena. “Boys: storia, leggende e altre bagattelle”, s’intitola: lo ha scritto Antonello Ricci, oggi professore ma ieri ultras (il tempo cambia molte cose nella vita, dice Battiato), e con la prefazione di Massimiliano Mascolo, giornalista di Raisport e altro gravemente dipendente dai canestri. È la riverniciatura del volume uscito già nel 1986: racconta le gesta più o meno eroiche di una tribù buona, fuori dagli schemi, dai benpensanti ipocriti di allora (che sono gli stessi di oggi) ai quali solo la parola “giovani” incuteva una fifa boia. (A proposito: certe lettere d’epoca ai giornali, per criticare presunti episodi di violenza sulle tribune della Veritá, fanno letteralmente sorridere di fronte allo schifo che gira oggi, negli stadi e nei palazzi dello sport).
Saranno un’ottantina. Naturalmente, non mancano i giocatori dell’epoca, gli idoli che volavano sul parquet e che facevano volare i sogni dei Boys e insieme le quotazioni del basket viterbese. C’è Paolo Lega, c’è Micarelli, c’è Gatti, c’è il monumento Sergio Fontana, Coletta e il grande (Eu)genio Azzoni. Ci sono pure le ragazze della Sisv: Mocini, Nataloni e Tredici. C’è Sergio Zoppi, arrivato da Fermo e cecchino infallibile nella stagione della promozione in B. C’è Angelo Bicchierini, che riceverà da Fabrizio Tombolini (era uno che nel gruppo contava) una targa in memoria del figlio Kevin, cestista pure lui e
scomparso tragicamente qualche anno fa.
Già, gli assenti, quelli che non ci sono più. Li ricorda un altro Boys, Silvano Petri (“The king”, gli hanno scritto su un cartello): Fabrizio Zaffamenti, Maurizio Tombolini, Giampaolo Fatiganti, Marco Boni, Mario Alberti detto Mammoletto. L’applauso è lungo, commosso e commovente.
Poi si torna a chiacchierare, sempre sotto lo striscione che luccica nella sala. E che sembra quasi ammonire: ricordatevi, una volta Boys per sempre Boys. Per sempre ragazzi.