Yes, we can. Sì, si può fare. Cosa? Trasformare Viterbo in una città d’arte e di cultura. Quella che, agli inizi degli anni ’90 aveva immaginato un giovane sindaco, ultimo virgulto della cosiddetta prima Repubblica (leggi: Beppe Fioroni), ma che poi per un ventennio abbondante è rimasta solo nel cassetto dei sogni.
Ora, si può fare. Si potrebbe fare. A patto che amministratori, politici e categorie sociali marcino compatti in un’unica direzione. Ai primi e ai secondi il compito di dettare le linee guida, agli altri quello di metterle in pratica. Per raggiungere un risultato che, mai come oggi, è a portata di mano. Basta volerlo.
La riflessione deriva dall’attenta osservazione di quanto avvenuto in questi ultimi giorni: il successo di una manifestazione come Tuscia in jazz e l’invasione di turisti in questi giorni stracolmi di festività (e la prova del nove la si potrà avere nei prossimi, quando sarà oltretutto in programma San Pellegrino in fiore). A dimostrazione che la città le potenzialità ce le ha tutte. Basta seguire l’onda e cavalcarla per ottenere risultati che potrebbero anche essere inimmaginabili.
Come? Intanto, partendo da ciò che già esiste. Tuscia in jazz, s’è detto. Ma anche Caffeina, Tuscia film fest, Ferento e la sua stagione estiva, San Pellegrino in fiore. Tutte iniziative da valorizzare e da accorpare in un unicum che faccia da cornice all’appuntamento clou del capoluogo della Tuscia, ovverosia il Trasporto della Macchina di Santa Rosa. Abbandonando (finalmente) quel “Settembre viterbese” pieno di vergognosa paccottiglia e creando una “Estate viterbese” in grado di richiamare turismo grazie soprattutto alla qualità dei suoi appuntamenti. Senza però, fermarsi qui. Perché da aggiungere ci sarebbero un percorso museale invidiabile (ma qui veniamo alle dolenti note: quando riaprirà il museo civico?) da accompagnare con una valorizzazione della troppo spoglia Sala del conclave (non si sarebbe potuta sfruttare meglio, visti i milioni di pellegrini arrivati a Roma per la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II?); e ancora, una stagione teatrale degna di tale nome, a patto che terminino in tutta fretta i lavori al teatro dell’Unione; l’organizzazione di tour culturali che tocchino i cosiddetti gioielli fuori porta (Norchia, Castel d’Asso, villa Lante) e del resto della provincia (e qui l’elenco è lungo, ma basta ricordare il museo Etrusco e le tombe di Tarquinia).
Insomma, Viterbo dovrebbe fare sistema. E dotarsi di un marchio di qualità. Da esportare nella vicina Roma innanzi tutto, ma anche nel resto d’Italia e del mondo. Un sistema che dovrebbe essere supportato anche da quella città termale che potrebbe e dovrebbe finalmente vedere la sua luce. Sogni nel cassetto? No, a patto che si condivida l’idea e che si lavori alla sua realizzazione. Ognuno interpretando al meglio il proprio ruolo.
Torno a ripetere una frase che, all’inizio degli anni ’90, mi disse un alto funzionario di banca, di origine veneta, che era stato catapultato a Viterbo per motivi di lavoro: “Voi viterbesi avete il petrolio, ma non siete capaci a estrarlo”. Sarebbe ora di cominciare a farlo.