In passato s’era visto un po’ di tutto. Dagli improvvisi ribaltoni di casato con annesso lancio di monetine, stile Craxi. Alla gente che in un sol giorno (quello dello spoglio) beccava un botto di voti al Parlamento, nonostante fosse candidata alle Comunali (gli anziani, si sa, nel dubbio scrivono due volte lo stesso nome). Passando infine per la vittoria al fotofinish (con un solo voto di scarto) ed il soprannome impresso al posto del cognome a metter pepe sul parere ultimo del Tar. Ma mai, e ciò è gravissimo, mai era successo che a Piansano si presentasse una sola lista. Un unico sindaco. Senza concorrenza. E quindi senza battaglia.
“È la morte assoluta della politica”, dice un paese in coro. La sconfitta di tutti. Vinti e vincitori. E le cause non vanno ipotizzate. Vanno piuttosto (ri)cercate in un sistema che, i fatti parlano chiaro, così non funziona.
Meglio partire però dall’attualità. Dalla candidatura del blocco capitanato da Andrea di Virginio. Il primo cittadino ci riprova (o meglio, ci riesce). Secondo mandato. E con lui il vice Roseo Melaragni. Quel pezzo da novanta che trascina il gruppone civico, ma di chiara identità sinistrorsa, dai tempi dei jeans scampanati e delle camicie coi pinzi lunghi. Dominava la diccì. Quelli come Caramella (pardon, Melaragni) al massimo potevano stare all’opposizione. La storia recente però parla d’altro. Racconta d’un ventennio lontano dal centro e soprattutto dalla destra. Una destra (moderata) che non s’è saputa ringiovanire nei concetti e nelle facce. Puntualmente ghigliottinate ad ogni giro di boa. Segate e (talvolta) ripresentate di quinquennio in quinquennio. Fino allo sfinimento. Fino, ed eccoci, all’incapacità di mettere in piedi una coalizione. Mai in più di cinque. Meglio rinunciare.
La goffa notizia era nell’aria. I tentati abbordaggi da bar con questo o quel personaggio, “vogliamo creare una cosa tra gente seria, lontana dai soliti meccanismi”, non hanno convinto. Nessuno se l’e’ sentita di cavalcare un cavallo dal passo incerto. E non per questioni di appartenenza (sicuro che alle Europee tra Nuovo Centrodestra e Forza Italia si risbanca), ma francamente per contenuti.
Eppure questo pareva l’anno giusto per invertire la rotta. Poiché metà del blocco in carica (lo zoccolo duro) ha deciso di mettersi da parte. E quindi l’interrogativo su quanti numeri porteranno i novelli è d’obbligo. In più la cinghia del Governo, sempre più stretta, non ha senza dubbio permesso ai Di Virginio di spendere e spandere in opere, cultura e porchette. Di brillare come i predecessori, per farla breve.
Se non bastasse c’è anche il discorso legato all’eolico. Quell’impianto che tanto ha diviso la città (alle ultime si era passati da 400 a manco 100 preferenze di scarto). E che ancora oggi (seppur in modo sporadico e talvolta folle) fa parlar di se’.
Nulla di questo però ha pesato. Nulla ha portato ad una voce nuova. Fresca. Ad una sterzata. E guai a chiamarlo disamore. Sarebbe troppo facile. È solo e semplicemente una sconfitta. Pesantissima. La sconfitta della democrazia.
Piansano, il perché del candidato unico
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