“Sono ottimista di natura. E mi auguro che presto alla domanda segua l’offerta, come dice una vecchia legge dell’economia”. Leonardo Michelini, nelle vesti di sindaco del capoluogo, ha un punto di osservazione privilegiato e non può sottrarsi a certe analisi. Anche se c’è da commentare uno studio mica allegro.
Quella di Viterbo è la centesima provincia italiana come rilevanza dell’economia culturale nell’economia generale. Il report “Io sono cultura”, elaborato per il 2013 dalla fondazione Symbola e da Unioncamere, con la collaborazione della Regione Marche, è delicato come un macigno. Perché dimostra attraverso numeri impietosi, quanto sia arretrata la Tuscia (terra pure ricca di storia, di patrimonio artistico e culturale, e soprattutto di buoni propositi) rispetto alle altre realtà italiane. Che con la cultura ci mangiano, nel vero senso della parola, attingendo grosse fette da quella torta dai 75 miliardi di euro che sarebbe il valore del settore. E mentre a Firenze le aziende che operano – e vivono, e mangiano – nella cultura sono quasi il 12 per cento delle realtà economico, e ad Arezzo quasi il 10 per cento, qui da noi la percentuale è bassa, ridicolmente bassa: il 4.9 per cento, circa 1800 imprese, lavorano nella cultura e nei suoi innumerevoli rivoli. Poco, troppo poco, per una terra che potrebbe/dovrebbe sfruttare meglio la più grande tra le sue ricchezze.
Prima di argomentare la sua riflessione, Michelini ci tiene a fare due conti: “Viterbo è il capoluogo, ha 64mila abitanti, e dunque influisce fino ad un certo punto su un dato complessivo che riguarda invece una provincia con oltre 300mila abitanti – dice il sindaco – E anche se noi riuscissimo a fare molto meglio di quel 4.9 per cento, influiremmo poco nel computo globale”. Ciò premesso, è anche vero che la città dei papi può far molto a livello di esempio per gli altri centri del territorio, e anche da traino, perché se un domani Viterbo riuscirà davvero a campare di cultura, i paesi del comprensorio potrebbero andare a rimorchio, con entusiasmo e convinzione. “Per questo l’amministrazione ha intenzione di invertire la tendenza – spiega Michelini – Mangiare con la cultura non deve rimanere uno slogan fine a sé stesso, ma una realtà per una zona che ha dei beni preziosi. Diciamo piuttosto che vogliamo toglierci l’appetito, cioè superare questa sensazione di fame perenne mai saziata. Vale per la cultura anche in senso più ampio, e penso a quella termale, all’enogastronomia, all’agricoltura. Ecco, in questo senso la città può essere un punto di partenza, un simbolo virtuoso per tutta la provincia”.
Una città che in questi giorni è stata letteralmente presa d’assalto dai turisti. E qui entriamo nel punto focale della questione: la domanda c’è. I turisti ci sono. Quelli affamati di cultura in tutte le sue declinazioni, dalla musica (Tuscia in jazz ha fatto il pienone) al folclore (San Pellegrino in Fiore farà il pienone), ai musei e ai monumenti. Ma spesso il ”tutto esaurito” rischia di essere un dolore, più che una gioia. Perché potrebbe anche significare che tutto si esaurisce perché i posti a disposizione sono pochi, e mancano le alternative. Michelini fa un esempio: “Due persone mi hanno chiesto se riuscivo a trovar loro una sistemazione particolare per il prossimo fine settimana, quello del 1 maggio. Si tratta di persone che hanno interessi particolari, in ambito culturale. Ho fatto chiedere: a Viterbo non c’era niente di disponibile, hanno trovato fuori città. La speranza è che un domani aumenti anche l’offerta qui, non solo quella alberghiera, che si può incrementare anche con l’albergo diffuso, una soluzione molto interessante. Ma anche tutte quelle attività più strettamente legate alla cultura. Spero che i giovani imprenditori scelgano questa via. Se è vero che l’economia segue la domanda, la domanda non manca”. Manca solo l’offerta, ma quella tocca alle menti – e agli investimenti – dei viterbesi.