Il presidente del Consiglio Massimo D’Alema… No, riproviamo: il ministro degli Affari esteri Massimo D’Alema. Macchè. Il segretario del Partito Democratico della sinistra… No, ancora non ci siamo: il segretario della Federazione dei giovani comunisti italiani Massimo D’Alema. Quasi, quasi. Ultimo tentativo: il direttore dell’Unità, Massimo D’Alema. Basta. Per andare sul sicuro: l’ex di tutte queste cose (e di tante altre ancora) Massimo D’Alema è stato ospite ieri della fondazione Gualtiero Sarti. Per presentare il suo libro (Titolo: “Non solo Euro”. Sottotitolo: “Democrazia, lavoro, uguaglianza. Una nuova frontiera per l’Europa”, in vendita anche in loco) e rispondere en passant alle domande degli studenti dell’università della Tuscia.
Un incontro affollatissimo, quello nella sala Regia di palazzo dei Priori, da posti in piedi in paradiso (paradiso dei lavoratori, of course). Con l’Europa al centro, perché di questo parla il libro di D’Alema, e perché le elezioni europee sono alle porte, meglio stare sul pezzo. Ad accogliere l’ex lìder Massimo, i giovani di cui sopra, piazzati tra le prime file della platea, e ad occhio tra i pochissimi ragazzi presenti. Le altre sono tutte teste incanutite, di amministratori, militanti et simpatizzanti provenienti dall’intera Tuscia. A fare gli onori di casa il sindaco Michelini (che si autocita: “Quando lei venne un anno fa ero in campagna elettorale e mi portò fortuna”), una spruzzata di assessori e consiglieri, sindaci del territorio, il consigliere regionale Panunzi e soprattutto un altro baffo nobile della sinistra italiana, il senatore Ugo Sposetti, dalemiano di ferro da tempi non sospetti. Non c’era il segretario provinciale del Pd, Andrea Egidi, e il panico è palpabile. Ci pensa il presidente della fondazione Sarti, Ermanno Barbieri, a tranquillizzare la folla spaesata: “Egidi ha un impegno urgente a Roma (la direzione regionale sulle candidature alle Europee, ndr). Mi ha inviato un intervento che però non leggo. Consideriamolo come letto”. Ecco, forse è meglio.
Introduce il professor Maurizio Ridolfi, solo assonante – purtroppo – dell’illustre politilogo Luca Ricolfi. Si vede, e si sente. Il docente dell’Unitus butta lì qualche tema, spiega che quello di D’Alema è “un pamphlet, un libro di intervento, per creare discussione”. Poi lancia alla carica i suoi studenti, per le attesissime domande, che dovrebbero dare un tocco innovativo ad un incontro che altrimenti suonerebbe tremendamente palloso. Loro, i ragazzi, ci provano, ma il risultato è scadente.
Sette domande sette, una dietro l’altra, una per studente. Leggono tutti, chi in modo scorrevole chi meno. Ora, non che si possa pretendere da questi ragazzi interventi spontanei & spigliati, ma che almeno sappiano leggere in pubblico, quello sì. Magari gli universitari potrebbero esercitarsi da soli a casa davanti allo specchio. Tra le domande, comunque, preparate col professore (chissà se vale qualche credito formativo extra, o addirittura un esonero), l’immancabile, “attualissima”, citazione di Altiero Spinelli, il quesito pseudo malizioso su Renzi inginocchiato al cospetto di Angela Merkel, i riferimenti a grillismi e antieuropeismi vari, un pizzico di immigrazione, e naturalmente la crisi in Ucraina.
D’Alema non si scompone. Segna le domande, prende fiato e parte, producendosi in un rispostone che affronta tutto, anche se poi – è normale – tutte le risposte si possono trovare nel libro, “un libro – si autorecensisce – non sulla sinistra, ma di sinistra”.
Brani scelti dall’intervento dalemiano e dalla sua tetragona potenza: “L’uscita dall’euro è un suicidio collettivo. Ma non è un alternativa così come non è un’alternativa lasciare l’Europa così com’è. L’alternativa è cambiare l’Europa, con una grande forza politica”. “Progressista è una parola che unisce. E’ quella che unisce di più, perché la meno carica di storia e di condizionamenti ideologici”. “Oggi le istituzioni europee sono anonime e tecnocratiche. Bruxelles è un luogo dove non c’è dibattito politico, si prendono decisioni tecniche e basta. Perciò bisogna rinforzare le istituzioni comuni, quelle elette dai cittadini, rinforzando così anche la dimensione politica dell’Europa”. “Nelle istituzioni governative, invece, contano gli Stati forti, cioé conta la Germania, che decide per tutti. La Francia? Amo dire che ha l’onore di ratificare per prima le decisioni tedesche”. Dice anche cose come “spirale deflattiva” e “dottrina monetarista tedesca”.
Tra consigli di leggere altri libri, americani e francesi, oltre al suo, e riferimenti all’amato Karl Marx, rimandi alle fondazioni che presiede e insoliti quadretti famigliari (“Mia figlia vive a New York, la vado a trovare spesso: ma lo sapete che in America non è obbligatorio indicare la data di scadenza sui prodotti alimentari?”), D’Alema va avanti come un treno. Si esalta quando spiega – benissimo – cos’è e come funziona lo spread, ma scivola pure su qualche buccia di banana. Quella della banalità: “Gli americani tendono a vedere il mondo come un Far West, diviso in buoni e cattivi”; sì, e non ci sono più le mezze stagioni, signora mia. E quella, tipica del personaggio, della superbia: “Per capire l’immigrazione lasciamo perdere la solidarietà, parliamo di affari. Così capiscono anche quegli zulu della Lega nord”. Visto che di leghisti in sala non c’è ombra, meglio andare a fare l’aperitivo, magari con buon rosso umbro, prodotto proprio da D’Alema (quando non è impegnato a scrivere, chiaro).
D’Alema fa lezione sull’Europa
di Andrea Arena
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