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Il fisco, unica impresa che non sente la crisi

Luigia Melaragni

Luigia Melaragni

C’è un’impresa, in Italia, che non risente della crisi: il fisco. I suoi conti vanno a gonfie vele. Rispetto al 2011, infatti, incassa quasi due miliardi di euro in più al mese. Ma com’è possibile che i contribuenti italiani siano chiamati a versare ancora altri 24 miliardi all’anno nelle casse pubbliche, centrali e locali, a dispetto del prodotto interno lordo in arretramento? Lo spiega una ricerca del Centro Studi nazionale della Cna dedicata alle “Entrate erariali e locali che incidono sulla pressione fiscale”.

L’anno orribile per i contribuenti italiani è stato il 2012, quando la pressione fiscale è balzata dal 42,8 al 44,3 per cento: un aumento di 1,5 punti di Pil. In valore assoluto, si parla di 18,5 miliardi su un Pil che si è ridotto dello 0,75 per cento tra il 2011 e il 2012. Nel 2013 il fisco si è “limitato”, si fa per dire, a confermare, nella sostanza, le entrate, e anche la pressione fiscale, dell’anno precedente.

Nel 2012 la crescita del gettito è stata determinata per 12,4 miliardi da imposte indirette (comprese quelle di competenza europea), per 11,1 miliardi da imposte dirette e per 470 milioni da contributi sociali. Nell’arco di dodici mesi, è avvenuto uno spostamento di circa 5,5 miliardi dalle entrate tributarie straordinarie (sostenute, per la maggior parte, da quanti hanno scelto di beneficiare di sanatorie, condoni e particolari agevolazioni fiscali) alle entrate strutturali a carico di tutti i contribuenti e, in particolare, delle imprese.

La ricerca della Cna conferma che la responsabilità principale dell’aumento monstre della tassazione va addebitata alla trasformazione dell’Ici in Imu: la nuova imposta sugli immobili (che ha colpito selvaggiamente capannoni, laboratori, negozi, gli immobili strumentali insomma, quelli che creano lavoro e ricchezza diffusa) è costata ai contribuenti intorno ai 14 miliardi. Per effetto della doppia competenza Comuni/erario, le maggiori entrate derivate dall’Imu sono ammontate a 6 miliardi per i Comuni e a 8 miliardi per l’erario.

L’impennata del 24 per cento dell’imposta di fabbricazione sui carburanti ha permesso al fisco di introitare maggiori entrate per 5 miliardi, di certo non dovute alla crescita dei consumi, che anzi si sono ridotti, ma appunto all’exploit della tassazione. L’incremento dal 12,5 al 20 per cento delle imposte sostitutive sulle rendite finanziarie ha portato, infine, altri 3,1 miliardi alle casse dello Stato.

“La scorsa settimana è stata approvata dal Parlamento la delega per la riforma fiscale. Ci auguriamo -dice Luigia Melaragni, segretaria della Cna di Viterbo e Civitavecchia- che si proceda immediatamente all’emanazione dei decreti delegati, perché è fondamentale porre fine a questo salasso, per ridare ossigeno al sistema imprenditoriale e slancio all’economia”.

 

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1 Commento

  1. Giorgio Molino ha detto:

    E noi paghiamo… Già: ma fino a quando sopporteremo le vessazioni fiscali di una classe politica disonesta?

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