“E’ uno strazio”. E lo dice con quell’educazione, con quella devozione, che solo certe sciure milanesi sanno infondere nelle parole. Ilaria Borletti Buitoni oltre ad essere figlia di quel capitalismo lombardo che forse oggi non c’è più – ingoiato dagli squali della finanza e dalle iene del gossip – è pure sottosegretario. Ai Beni culturali. Lo fu col governo Letta, lo è ancora oggi con Renzi.
Era già stata a Viterbo, ha promesso che ci tornerà, magari a Santa Rosa, “sicuramente anche se non dovessi più ricoprire questo ruolo”. Ma la visita di ieri ha un sapore particolare, perché il sindaco Michelini e una sfilza di assessori l’hanno condotta in un viaggio tra le macerie di due tesori viterbesi, che oggi giacciono inerti, straziati da problemi diversi, condannati ad un futuro incerto causa mancanza di soldi. Il museo civico e il teatro dell’Unione, benvenuti nel tour della disperazione, nel silenzio degli innocenti.
E lei ripete: “E’ uno strazio”, con quel garbo meneghino che sembra quasi che soffra più lei dei mali nostri e dei mali dell’Italia culturale insieme. Chissà quanti ne avrà visti, di posti così, chissà quanti è condannata a vederne ancora, fino alla fine della legislatura. Con la pena accessoria di non poter promettere nulla, perché di soldi non ce ne sono – la filastrocca la conosciamo – e poi, poveri illusi, a pensare che basti la visita di un sottosegretario a risolvere questi due problemi brutti. Meglio uno sceicco.
Il museo civico è la prima tappa. Su per le scale, al primo piano, ala medievale e rinascimentale. L’approccio è brutale, perché ci sono i due pezzi di Sebastiano Del Piombo, La Flagellazione e La Pietà, reduci dai trionfi natalizi di palazzo dei Priori: “E’ lì che li voglio riportare stabilmente”, le dice il sindaco. E Borletti Buitoni è quasi in estasi, anche se poi chi fa il sottosegretario a queste cose dovrebbe risultare immune alla sindrome di Stendhal. “Complimenti, sono molto ben illuminate. Che meraviglia”. Stanza di là, altri quadri, altre spiegazioni, con la direttrice Grassi e l’architetto Cesarini a fare da ciceroni. Il passaggio in pinacoteca è doveroso, ma anche doloroso: siamo nella parte che crollò quasi dieci anni fa. C’è puzza di muratura, lavori in corso, bisogna ancora puntellare e rafforzare, ecco perché questo posto straordinario, questo forziere di meraviglie, è chiuso al pubblico, impolverato, vivo solo nella quotidianità di chi ci lavora e nei ricordi di chi l’ha visitato in passato. Lo stesso al piano terra, tra la roba antica di Musarna e Ferento, dell’Acqua Rossa e di Norchia: terra morta in un posto a morte condannato, ma anche salvabile.
“Questo museo mi ha molto colpito – dice il sottosegretario appena uscita su piazza Crispi – ma molto più mi colpisce il fatto che sia chiuso”. Ma via, non è tempo per noi, che queste ferite le vediamo tutti i giorni, ed è ora di passare al teatro dell’Unione.
Qui stanno lavorando duro, si vede. Dalla polvere e dagli attrezzi, dai pacchetti di sigarette schiacciati e dai resti di pranzi brevi prima di tornare all’opera. Qualcuno ha scritto con lo spray pure un Forza Roma su un attrezzo, per tirare su il morale della truppa. La platea è vuota e scavata, sembra la balena bianca del romanzo. Il palcoscenico è giù in fondo. Il sindaco le spiega che il nome, “Unione”, viene dall’Ottocento profondo, quando anche un teatro – e un compositore come Verdi – poteva agevolare l’unità d’Italia. Lei, da milanese, capisce, e poi stupisce: “Questo palcoscenico è più bello di quello della Scala”. Si parla, si sogna, si abbozzano audaci piani di apertura e di rilancio, sinergie con l’Opera di Roma.
Ma è già tempo di tirare le conclusioni, perché il sottosegretario è invocato in Parlamento, la scaletta va accelerata. E allora via in conferenza stampa, a palazzo dei Priori, nella speranza che arrivi qualche impegno concreto. Lei dribbla con classe ogni promessa concreta: “I fondi sono quelli che sono, il bilancio del Mibac è di cento milioni d’euro l’anno, basta a malapena per la manutenzione ordinaria. In passato c’è stata tanta disattenzione per i beni abbandonati, adesso siamo in ritardo. Servirebbe una politica culturale a lunga scadenza, programmata, come in Francia. Ma come si fa a programmare, qui, se un Governo dura mediamente 320 giorni? Certo, sul territorio vedo tante cose positive: sinergie, circuiti, alleanze: le potenzialità ci sono”. E Viterbo? E le sue ferite? “Ne parlerò coi dirigenti del ministero già domani. Per capire quali forme di finanziamento possono essere sfruttate sia per il museo sia per il teatro. Lo stesso farò anche con il ministro Franceschini, non appena si sarà ripreso dai suoi problemi di salute”. Già, la salute è tutto. Quella delle persone e quella delle ricchezze del patrimonio italiano. Grazie per la visita, sottosegretario, ma se Pompei crolla e non si riesce a metterci una pezza, qui ci si può solo mettere in coda. E aspettare, e sperare.
Ci mancava solo la sottosegretaria radical-chic con il suo pleonastico birignao.