Il paragone sarà forse poco sostenibile ma chi abita a Roma, soprattutto se in periferia, sa che per andare in centro è costretto a utilizzare i mezzi pubblici (con tutte le loro carenze di cui noi viterbesi sentiamo parlare sui mass media e che sperimentiamo di tanto in tanto, quando ci rechiamo nella Capitale). A Viterbo invece, se uno deve andare al Corso per fare un acquisto, pensa ancora di poterci arrivare con l’auto fino a 20 centimetri dal negozio, altrimenti cambia strada.
Sì, è così. Purtroppo è una questione di cultura. Di Dna. Di abitudine inveterata. Difficile da sradicare, soprattutto nel breve periodo. E quando i commercianti protestano perché gli affari (già di per sé magri) crollano, probabilmente dicono la verità. Giacché la pigrizia ha il sopravvento. Ed ecco allora che, alla passeggiata in centro, si preferisce il più comodo centro commerciale, dove si può arrivare con le quattroruote fin nella pancia della struttura, si sta caldi d’inverno e freschi d’estate, e si può trovare comodamente quello che serve.
Poco importa se altrove il problema l’hanno risolto da decenni (e qui ricitiamo per l’ennesima volta Perugia, Siena, Orvieto, ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo). “Viterbo è Viterbo” è in genere la risposta, legata al conservatorismo culturale, frutto sicuramente di quella mentalità agraria, che portò, in passato, a evitare che la ferrovia Roma-Firenze prima e l’Autostrada del Sole poi, transitassero a Orte e non da queste parti. E allora? E allora anche il minimo cambiamento genera disperazione, lamentazioni, proteste e perfino tentativi di aggressione da qualche energumeno, giacché i commercianti – questo va ammesso – con gli introiti del negozio ci devono pur campare.
Vista così, sembrerebbe che non ci sia soluzione e che la città debba rassegnarsi a diventare un modello unico in Italia (e forse anche nel resto del mondo civilizzato), dove i Suv saranno nei secoli liberi di transitare e posteggiare anche sulla scalinata di palazzo dei Papi, soprattutto nelle ore in cui la vigilanza latita.
Invece no. Si può fare. Yes, we can, direbbe Obama. Ora, senza avere la pretesa di dettare ricette che avrebbero il sapore del “sotuttoio”, si può comunque provare a immaginare un percorso che nel giro di pochi mesi (complice anche la prossima realizzazione del progetto Plus e del relativo ascensore) possa portare a raggiungere l’obiettivo. Non dico nella totale concordia (sarebbe pretendere troppo), ma nell’approvazione dei più. Ma per ottenere questo la chiusura alle auto del centro storico deve rappresentare un vantaggio, non un handicap. Altrimenti va tutto, come al solito, a gambe all’aria.
L’assessore all’urbanista Alvaro Ricci annuncia che vuol far partire la Ztl da Porta Romana. Bene. Ma il minimo sindacale da fare è una segnaletica chiara e visibile che indichi i parcheggi sparsi intorno alle mura, in attesa magari di realizzarne altri. E spostare finalmente il mercato del sabato dal parking del Sacrario. Non solo. Istituire anche quelli che altrove si chiamano “parcheggi di scambio”, dove uno lascia l’auto e prende il bus navetta, che in cinque minuti ti porta in centro, dappertutto. Istallare infine i varchi elettronici per scoraggiare i furbi e sopperire così alla cronica carenza di personale della Polizia locale.
Questo è sufficiente? No. Perché l’altro corno del problema è molto più complicato e riguarda l’appetibilità del centro storico, in una città dove – caso unico al mondo – gli appartamenti in periferia valgono molto di più di quelli ubicati entro le mura.
Ecco allora che è indispensabile quell’opera di riqualificazione e rivitalizzazione che trasformi il centro nel salotto buono della città. Come? Qui va detta subito una cosa: il Comune non può fare tutto da solo. Può dare le linee di indirizzo, può incentivare – ammesso che nelle casse ci siano un po’ di soldi – i cambiamenti, può favorire la realizzazione di iniziative, ma per gli investimenti serve l’impegno dei privati. A tutti i livelli. Commercianti compresi. I quali, oltre a lamentarsi (in alcuni casi giustamente) hanno anche il dovere di rimboccarsi le maniche, senza pretendere la “pappa fatta”.
Andrebbe messo in piedi insomma, un progetto omogeneo che indichi chiaramente quale uso si debba fare del centro storico. Un progetto da elaborare, discutere, modificare, migliorare e alla fine approvare. Dopodiché si parte, tutti insieme appassionatamente. Ognuno svolgendo il ruolo per il quale è deputato. Per arrivare, insieme, all’obiettivo. E senza più imprecare: “Piove, Comune ladro”.
Caro Sassi, prediche inutili, anzi inutilissime, le sue: Viterbo è una città irredimibile, governata da demagoghi, ciarlatani e disonesti (intellettualmente). La cosiddetta società civile non è migliore della classe politica che ha espresso, esprime e (forse) continuerà ad esprimere. Rassegniamoci e arrangiamoci.