E adesso quella frase suona beffarda, uno scherzo del destino. Claudio Solimina l’aveva detta alla vigilia della finale di Coppa Italia, della disfatta di Frascati, in una di quelle trasmissioni televisive romane dove è ospite spesso e volentieri: “Sono alla guida di una Ferrari”. Sì, la Ferrari Viterbese costruita coi soldi della famiglia Camilli, per stravincere l’Eccellenza e riuscire a rivedere le stelle. Missione più facile a dirsi – specie in televisione – che a relizzarsi sul campo. Ieri, al termine della sconfitta più pesante della storia recente gialloblu (5-1 contro il Grifone, espressione calcistica del quartiere romano di Monteverde), Solimina ha deciso di scendere da questa Ferrari, rassegnando le dimissioni. Subito accolte dai Camilli, che comunque avevano già pronta la lettera di licenziamento – la seconda in cinque mesi – per Solimina.
Il pilota se n’è andato e forse avrebbe dovuto farlo già dieci giorni fa, all’indomani dell’umilante sconfitta di coppa contro l’Empolitana Giovenzano, altra carneade che si è abbuffata quest’anno ai banchetti offerti dai gialloblu: allora però Solimina restò, sprizzando sicurezza e giurando di godere dell’appoggio di squadra e piazza. Alla faccia dell’evidenza: la sua Viterbese non ha mai giocato un bel calcio, ha vinto le partite, d’accordo (sette consecutive, record storico, prima di ieri), ha riconquistato la testa della classifica, ma con tutta la qualità dei nomi, e con le pressioni della proprietà, era il minimo sindacale.
E pensare che questo ex centravanti, già tecnico della prima Castrense di Camilli quattordici anni fa, era stato scelto per le garanzie che offriva: espertissimo della categoria, che ha già vinto in carriera, ben addentellato negli ambienti romani (non solo mediatici), un carattere da duro. Solimina, che pure è direttore alle Poste e allenatore della Nazionale dei postini, si era anche messo in aspettativa per sposare il progetto Viterbo. E aveva fatto di tutto quando, a ottobre, i Camilli lo avevano esonerato al primo pareggio – sì, al primo pareggio – e avevano chiamato Sergio Pirozzi. Allora, rimasto momentamente senza volante, il ferrarista aveva brigato non poco: cene carbonare a Roma coi giocatori fedelissimi, articoli mirati sui quotidiani romani, un’attività di lobby instancabile. Funzionò, perché di lì a poco fu richiamato, con l’assicurazione di cospicui rinforzi nel mercato di riparazione.
Sembrava saldo, sulla panchina gialloblu. Ripeteva di stare “sempre sul pezzo”, predicava umiltà, non tollerava le critiche tecniche e tattiche, ricordava “le dodici vittorie consecutive col Palestrina”, si arrabbiava perché alcuni giocatori avevano partecipato ad un’innocente rimpatriata con i compagni dell’anno scorso.
Fino a Frascati quando, nella partita più importante dell’anno, Solimina riuscì a sbagliare tutto il possibile: la formazione, l’atteggiamento tattico, le motivazioni alla squadra, il rispetto nei confronti degli avversari. Quel giorno, dopo il 3-1, il destino dell’allenatore era già segnato: fiducia a tempo, alla prima sconfitta esonero garantito, niente riconferma per l’anno prossimo. E infatti: la smusata di ieri ha fatto calare il sipario sull’avventura del tecnico, che ha preferito salvare la faccia e dimettersi. Addio Ferrari, meglio vivere su una Panda.
Solimina è sceso dalla Ferrari gialloblù
di Andrea Arena
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Ma perché Camilli non recluta Philip Red from Trieste come allenatore delle Viterbese? Sai che gran ficata il modulo fascista-finian-futurista-montezemoliano-montiano-renziano applicato al gioco del calcio!